Di Francesca Agostinelli
I recenti fatti accaduti nell’ambiente tifoseria recanatese, mi portano a fare alcune riflessioni personali ad alta voce. Sono rimasta colpita dall’accaduto perché il giovane ragazzo coinvolto potrebbe essere mio figlio e quindi mi scatena emozioni contrastanti, da mamma e da cittadina adulta che vive ed interagisce nella società. Da cittadina dico che rovinarsi la vita per un tifo che oggi ha più i connotati di una guerra da vincere piuttosto che il sano battere di cuore per la gioia di vedere la propria squadra misurarsi e ottenere quella vittoria tanto agognata, è stupido e privo di ogni senso. Una volta lo sport veniva considerato momento di aggregazione, di confronto per misurare la capacità personale o collettiva di chi lo fa ma anche di chi assiste ad un evento sportivo. Comprendo l’irruenza e l’agitazione di chi tifa ma non accetto per alcun motivo la violenza che si scatena da tali eventi.
Da mamma mi sento di stringere in un forte abbraccio questo giovane ragazzo che ha commesso si un reato ma ha anche il diritto di trasformare questa brutta esperienza nella possibilità di ricercare il giusto valore delle cose, donando al suo cuore e alla sua mente la capacità di scegliere “altro”. E qui non entra in gioco soltanto la sua famiglia, che conosco e stimo, ma anche noi tutti, cittadini ed educatori che pur prendendo distanza dal fatto di per se stesso, non possiamo prendere distanza sul perché accadano simili cose. Io mi sento responsabile di quello che è accaduto perché la società nella quale vivo è anche la “mia” società, anche io contribuisco a renderla migliore o peggiore. Senza adottare falsi moralismi ma parlando a cuore aperto, i nostri figli che esempi hanno? Sì è vero ognuno a nostro modo nelle pareti delle proprie case cerca di inculcare ai figli i valori dei sentimenti, delle azioni e delle idee ma è anche vero che quegli stessi valori noi genitori, noi adulti, noi società non li schiantiamo ogni giorno perché la logica comune del nostro vivere è più vicina alla superficialità, al godimento, alla faciloneria di poter avere tutto a qualsiasi costo? Alla protezione a volte assurda di curare soltanto il nostro orticello, alla mancanza di contenere rabbia e cedere alle tentazioni? Non è facile vivere in questo mondo ma questo mondo lo costruiamo noi, con le nostre idee, i nostri progetti, le nostre speranze; forse è ora di riappropriarci del vero valore del sentimento, di ascoltare il cuore. Ciò che è accaduto potrebbe accadere anche nella mia di famiglia, nonostante l’impegno che metto nel crescere mia figlia e dare a me stessa la possibilità di fare la “cosa giusta”.
E a voi giornalisti, senza polemica alcuna ma con sincerità assoluta, mi permetto di dire che non è necessario nel diritto di fare informazione, descrivere minuziosamente un ragazzo di 22 anni con foto annessa ed indirizzo di casa perché questo ragazzo non deve essere messo alla gogna tantomeno la sua famiglia; hanno tutti quanti il diritto di vivere un momento difficile senza riflettori puntati. Anche voi avete figli e sono sicura che soffrireste a vederli impauriti, destabilizzati e bisognosi come non mai di quell’amore necessario a superare momenti così brutti.
Il rispetto della vita è assoluto e non ha sensi unici.
Concludo le mie riflessioni con l’augurio che questa vicenda sia un monito costruttivo per noi tutti ed un incitamento ad un tifo migliore di quello sportivo, il tifo alla vita e al suo grande valore.