Il documentario “Giacomo Leoaprdi e i luoghi della sua vita”, andrà in onda giovedì 11 Febbraio su Rai Sat TV2000 inserito nella serie: “La selva delle lettere, viaggio nella letteratura italiana”, alle ore 20, replica sabato ore 22.35, domenica ore 10 (canale 801 di Sky o su digitale).
Si tratta di un documentario di Luigi Boneschi su Leopardi e i luoghi della sua vita.
Nella serie "La selva delle Lettere", un programma di Pupi Avati prodotto Dalla Duea Film, SAT2000, “La selva delle lettere” è una ministoria della letteratura italiana attraverso dodici documentari, della durata di un’ora, che sono altrettanti profili di autori italiani. Ne è autore e regista Luigi Boneschi che, per il documentario su Leopardi girato a Recanati, Roma, Bologna, Milano, Firenze, Pisa, Napoli, ha intervistato la contessa Anna Leopardi e, fra gli altri studiosi, alcuni leopardisti del Comitato scientifico del CNSL. Gli intervistati sono: Giulia Corsalini (Recanati), Novella Bellucci (Roma), Emilio Pasquini (Bologna), Lucio Felici (Milano), Maurizio Bossi del Gabinetto Vieusseux (Firenze), Fiorenza Ceragioli (Pisa), Fabiana Cacciapuoti (Napoli).
Ecco come presenta il documentario il regista Boneschi.
“Leopardi per immagini. Riflessione di un regista alle prese con un compito insostenibile.
Difficile raccontare Leopardi per immagini. Impossibile? Forse inutile? Certo stimolante per chi fa documentari. Una scommessa contro le mode evocate da Leopardi come paradigmi non-umani; e che nel contesto mediatico odierno ci infliggono una televisione vuota e volgare e a volte prepotente. Come in ogni racconto (e qui il problema è proprio raccontare, rendere fruibile e non banalmente accattivante la vita e l'arte di un grande autore) alla base di tutto c'è la passione verso quello che si dice. Il desiderare che anche altri amino quello che piace a noi.
E nel caso di Leopardi mi permetto di chiedere, soprattutto a me stesso: come è possibile non amarlo? E non perché si è buoni. Può essere la fortuna di essere stati iniziati dall'infanzia. Nel caso dello scrivente, bene o male, è avvenuto. Voglio rimandare su questo punto a un altro documentario della serie La selva delle lettere, dedicato a un poeta come Vincenzo Cardarelli che di Leopardi fece una religione elettiva: estetica e sentimentale. Poi, ci sono i problemi organizzativi, la scelta delle persone da intervistare in necessaria relazione ai luoghi leopardiani. Con non più di sei giorni a disposizione per inseguire la vita del poeta tra Recanati e Napoli, Roma e Firenze. C'è ... il trovarsi a Milano in un parco con Lucio Felici in un giorno di vento e sapere che si dovrà intervistarlo comunque lì, tra fogli e foglie che volano; confidando che tra questi eventi si saprà ritrovare il filo di una narrazione persuasiva. Certi che il proprio racconto sarà sempre meno bello di come lo si sarebbe desiderato. Ci si trova, in fase di montaggio, a dover togliere tanti spunti interessanti, a doverne lasciare altri che possano essere sviluppati. C'è l'idea dei luoghi come scansione dei capitoli del filmato, diviso fra prima e dopo la grande partenza del poeta per Roma. C'è l'emozione di entrare in Casa Leopardi e trovare nella contessa Anna la tenerezza di un racconto su Leopardi bambino, e di lei bimba che entra per la prima volta in quella casa: una storia fra tante, in apparenza, con il riverbero di un'emozione familiare, di tutto quello che il nome e i versi di Giacomo possono evocare. Si riscopre un Leopardi filosofo e prosatore grande, per esempio a Bologna (dove il prof. Pasquini ce lo ha ricordato). Oppure, a Pisa, si ritrova un frammento della propria memoria, quando con Fiorenza Ceragioli torniamo sui luoghi dove nacquero A Silvia e Il risorgimento, dove morì la sorella Paolina, e nei quali fummo già assieme, dieci anni fa, in un primo, artigianale, affettuoso documentario sulle città di Leopardi. C'è la magnifica contraddizione di un poeta solitario immerso nel chiasso delle vie napoletane, a sigillare il percorso che ne porterà le ceneri nel parco Virgiliano. E si sale in cima al Vesuvio, faticando felicemente. C'è la frase posta a introdurre il racconto, e che arbitrariamente si è voluta proporre a succo dell'esperienza leopardiana (rivendico l'arbitrario perché sempre raccontare qualcosa comporta un'esclusione soggettiva: il punto è che sia con la maggiore cognizione di causa possibile, magari per sovrapporre qualcosa che noi stessi pensiamo; ma qui aggiungo: in buona fede, perché non servono a questo i poeti, i grandi inventori della vita, a dirci in modo diverso quel che già pensavamo di credere o di aver vissuto?). Ed è la frase dove Leopardi considera che nelle opere di genio, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, si affaccia il senso di una speranza che solo la contemplazione della bellezza può dare. Si finisce il racconto e si vorrebbe ricominciarlo, ripeterlo un giorno, provarci ancora. E quella luna finale che non vuole essere omaggio decorativo, ma farsi carico di questa tensione avvolgente dal nulla all'infinito; tensione che sa affrontarlo, e nello smarrimento inevitabile continua a raccontarci che naufragarvi è sempre dolce e non è mai disperazione”.
Si tratta di un documentario di Luigi Boneschi su Leopardi e i luoghi della sua vita.
Nella serie "La selva delle Lettere", un programma di Pupi Avati prodotto Dalla Duea Film, SAT2000, “La selva delle lettere” è una ministoria della letteratura italiana attraverso dodici documentari, della durata di un’ora, che sono altrettanti profili di autori italiani. Ne è autore e regista Luigi Boneschi che, per il documentario su Leopardi girato a Recanati, Roma, Bologna, Milano, Firenze, Pisa, Napoli, ha intervistato la contessa Anna Leopardi e, fra gli altri studiosi, alcuni leopardisti del Comitato scientifico del CNSL. Gli intervistati sono: Giulia Corsalini (Recanati), Novella Bellucci (Roma), Emilio Pasquini (Bologna), Lucio Felici (Milano), Maurizio Bossi del Gabinetto Vieusseux (Firenze), Fiorenza Ceragioli (Pisa), Fabiana Cacciapuoti (Napoli).
Ecco come presenta il documentario il regista Boneschi.
“Leopardi per immagini. Riflessione di un regista alle prese con un compito insostenibile.
Difficile raccontare Leopardi per immagini. Impossibile? Forse inutile? Certo stimolante per chi fa documentari. Una scommessa contro le mode evocate da Leopardi come paradigmi non-umani; e che nel contesto mediatico odierno ci infliggono una televisione vuota e volgare e a volte prepotente. Come in ogni racconto (e qui il problema è proprio raccontare, rendere fruibile e non banalmente accattivante la vita e l'arte di un grande autore) alla base di tutto c'è la passione verso quello che si dice. Il desiderare che anche altri amino quello che piace a noi.
E nel caso di Leopardi mi permetto di chiedere, soprattutto a me stesso: come è possibile non amarlo? E non perché si è buoni. Può essere la fortuna di essere stati iniziati dall'infanzia. Nel caso dello scrivente, bene o male, è avvenuto. Voglio rimandare su questo punto a un altro documentario della serie La selva delle lettere, dedicato a un poeta come Vincenzo Cardarelli che di Leopardi fece una religione elettiva: estetica e sentimentale. Poi, ci sono i problemi organizzativi, la scelta delle persone da intervistare in necessaria relazione ai luoghi leopardiani. Con non più di sei giorni a disposizione per inseguire la vita del poeta tra Recanati e Napoli, Roma e Firenze. C'è ... il trovarsi a Milano in un parco con Lucio Felici in un giorno di vento e sapere che si dovrà intervistarlo comunque lì, tra fogli e foglie che volano; confidando che tra questi eventi si saprà ritrovare il filo di una narrazione persuasiva. Certi che il proprio racconto sarà sempre meno bello di come lo si sarebbe desiderato. Ci si trova, in fase di montaggio, a dover togliere tanti spunti interessanti, a doverne lasciare altri che possano essere sviluppati. C'è l'idea dei luoghi come scansione dei capitoli del filmato, diviso fra prima e dopo la grande partenza del poeta per Roma. C'è l'emozione di entrare in Casa Leopardi e trovare nella contessa Anna la tenerezza di un racconto su Leopardi bambino, e di lei bimba che entra per la prima volta in quella casa: una storia fra tante, in apparenza, con il riverbero di un'emozione familiare, di tutto quello che il nome e i versi di Giacomo possono evocare. Si riscopre un Leopardi filosofo e prosatore grande, per esempio a Bologna (dove il prof. Pasquini ce lo ha ricordato). Oppure, a Pisa, si ritrova un frammento della propria memoria, quando con Fiorenza Ceragioli torniamo sui luoghi dove nacquero A Silvia e Il risorgimento, dove morì la sorella Paolina, e nei quali fummo già assieme, dieci anni fa, in un primo, artigianale, affettuoso documentario sulle città di Leopardi. C'è la magnifica contraddizione di un poeta solitario immerso nel chiasso delle vie napoletane, a sigillare il percorso che ne porterà le ceneri nel parco Virgiliano. E si sale in cima al Vesuvio, faticando felicemente. C'è la frase posta a introdurre il racconto, e che arbitrariamente si è voluta proporre a succo dell'esperienza leopardiana (rivendico l'arbitrario perché sempre raccontare qualcosa comporta un'esclusione soggettiva: il punto è che sia con la maggiore cognizione di causa possibile, magari per sovrapporre qualcosa che noi stessi pensiamo; ma qui aggiungo: in buona fede, perché non servono a questo i poeti, i grandi inventori della vita, a dirci in modo diverso quel che già pensavamo di credere o di aver vissuto?). Ed è la frase dove Leopardi considera che nelle opere di genio, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, si affaccia il senso di una speranza che solo la contemplazione della bellezza può dare. Si finisce il racconto e si vorrebbe ricominciarlo, ripeterlo un giorno, provarci ancora. E quella luna finale che non vuole essere omaggio decorativo, ma farsi carico di questa tensione avvolgente dal nulla all'infinito; tensione che sa affrontarlo, e nello smarrimento inevitabile continua a raccontarci che naufragarvi è sempre dolce e non è mai disperazione”.