Sabato 6 (ore 21) e domenica 7 febbraio (ore 17) il Teatro Persiani di Recanati ospita nell’ambito della stagione promossa dal Comune e dall’AMAT Platanov di Anton Cechov, spettacolo che rinnova il sodalizio artistico tra il regista Nanni Garella e l’attore Alessandro Haber che dà prova della sua grande sensibilità per i personaggi cechoviani, dopo aver già interpretato nel 2004 uno Zio Vanja sanguigno e passionale, prima tappa di un percorso di rivisitazione scenica e drammaturgica condotto da Nanni Garella sull’opera di Cechov.
Nei panni di Platonov, Haber incarna i tratti negativi di un personaggio abulico e privo di volontà, un Don Giovanni riletto e calato nel profondo della provincia russa, modellato sull’opera di Molière, con echi dalla grande letteratura russa di Puskin e Turgenev. «Una persona intelligente e beffarda, un anticonformista – racconta Haber – e come Don Giovanni, una persona arida, assolutamente incapace di amare e di essere amato». Figurine di un mondo in decadenza, in cui i sentimenti non hanno più fondamento morale e i rapporti tra gli uomini sono dettati unicamente da interessi che non riguardano la sfera emotiva, i personaggi di Platonov si muovono nell’atmosfera intorpidita della provincia russa che assiste inerme al ribaltamento delle relazioni sociali, in seguito al dissolvimento dell’aristocrazia militare russa e di tutta la struttura sociale legata a un’organizzazione di tipo feudale.
«Il quadro sociale descritto da Platonov – continua Haber – non è molto lontano dal nostro mondo, un mondo di decadenza, con gravi problemi economici, dove i rapporti sociali si disgregano». Per questo Garella ha ambientato il dramma alla fine del Novecento, nella Russia della Perestrojka, vestendo gli attori con abiti moderni. «L’aridità morale – afferma Garella – è una piaga dei sentimenti che noi viviamo oggi in maniera violenta. Nella nostra società sono in atto dei rivolgimenti economici e politici non molto diversi per ampiezza da quelli che Cechov si trovò a vivere nella provincia russa della fine dell’Ottocento, e neppure diversi da quei cambiamenti che si sono verificati in Russia alla fine del Novecento, in seguito al crollo del regime sovietico». «Platonov e tutti i personaggi che lo circondano – conclude Haber – hanno perso i punti di riferimento sociali ed economici, non hanno un progetto di vita chiaro, pensando solo a sopravvivere. Niente di più contemporaneo.»
In quest’opera giovanile senza titolo del 1880-1881 – etichettata successivamente dai critici come Platònov – Cechov fa emergere quella contrapposizione tra due mondi, la nobiltà e la borghesia mercantile, che riapparirà nelle opere maggiori. Ritrovata un paio di decenni dopo la morte dell’autore che aveva lasciato accenni a un lavoro forse perduto o che aveva intenzione di distruggere, è stata pubblicata postuma nel 1923. Un testo incompiuto, sebbene «incompiuto per eccesso di materia», come ha sottolineato il regista Nanni Garella, che insieme alla studiosa Nina Tchechovskaja ha realizzato la versione italiana del dramma con un ampia riduzione e adattamento drammaturgico. Al di là delle vicende legate a questioni di carattere puramente filologico, il testo di Platonov nasconde una storia, molto curiosa e interessante, di ri-scritture drammaturgiche e riletture sceniche, che dal 1957, anno della prima rappresentazione russa dell’opera, non ha smesso di dar vita in tutto il mondo a spettacoli teatrali, adattamenti cinematografici (il più noto quello di Nikita Mikhalkov del 1977), vere e proprie metamorfosi in cui il materiale del dramma incompiuto si è fuso di volta in volta con suggerimenti provenienti dalla narrativa breve di Cechov o con suggestioni dalle opere della maturità. Così se tra il 1923 e il 1950 l’opera è circolata come Senza padre, Quell’uomo senza senso di Platonov, Don Giovanni (alla maniera russa), a partire dalla seconda metà del Novecento si è assistito a un fiorire di rappresentazioni con i titoli più svariati.