Nota del sen. Luca Marconi

Spero abbiate tutti il tempo di leggere il verbale di morte di Eluana Englaro; finalmente abbiamo i fatti attestati dagli stessi medici che l’hanno accompagnata alla dolce morte e le dichiarazioni dei magistrati che hanno controllato tutta l’operazione indolore.

L’indignazione che suscita questa lettura in ogni essere umano ragionevole produca fermezza e perdono, ma ci aiuti a non dimenticare mai perché dopo la Shoah degli Ebrei ad opera dei Nazisti, dei Cambogiani ad opera dei Comunisti, degli Armeni ad opera dei Turchi, dei bambini in pancia ad opera degli Stati, non si aggiunga la Shoah dei malati, dei vecchi e degli “inutili” ad opera dei fautori dell’Eutanasia.

Eluana non era “devastata” ma è stata straziata. Nelle carte il gelo di un’agonia procurata.
"In data 9 feb­braio il cadavere del­la signorina E­luana Englaro veniva trasferi­to all’obitorio della Quiete su barella in ac­ciaio. Trattasi di cadavere fem­minile, della lunghezza di circa 171 centimetri, del peso di 53.5 chili, cute liscia ed elastica, ca­pelli neri… Entrambi i lobi pre­sentano un foro per orecchini. Indossa una camicia da notte in cotone rosa"Marconi_Luca4.

Il resto ve lo rispar­miamo. Dura 133 pagine la “Re­lazione di consulenza tecnica medico-legale”, letta la quale il gip di Udine ha de­finitivamente stabilito che il tut­to è avvenuto regolarmente.
Un testo che si regge a fatica e che toglie il sonno, e non tanto nelle pagine dell’autopsia, quan­do ormai Eluana è morta, ma in quelle tragiche, disumane dell’agonia, quando era viva e nelle stanze udinesi della Quiete la si faceva morire.
Ora lo sappiamo: nei giorni e nelle notti in cui alla giovane donna venivano sottratti l’acqua e il nutrimento (il sostegno vita­le, lo chiama il documento), l’é­quipe del dottor De Monte sede­va accanto a lei e la osservava, prendeva appunti, diligentemente compilava di ora in ora la ‘Scheda di rilevazione degli ele­menti indicativi di sofferenza.
Una crocetta alla voce respiro affaticato e affannoso ne indica frequenza e durata, un’altra rile­va l’emissione di suoni sponta­nei, un’altra ancora i singoli la­menti sfuggiti a Eluana durante il nursing, ovvero mentre le ma­ni di medici e infermieri nulla potevano’ per salvarle la vita e dissetarla (il Protocollo parlava chiaro, e loro erano lì per appli­carlo, volontari), ma sul suo cor­po continuavano a operare quel­le piccole attenzioni richieste dallo stesso Protocollo: “Si pro­cederà all’igiene giornaliera di routine al fine di garantire il de­coro …”. Il decoro.
Sono pagine meticolose, capilla­ri. Gelide. Il 3 febbraio, primo giorno di ricovero alla Quiete di Udine (nel cuore della notte la giovane era stata prelevata da un’ambulanza e strappata alla clinica di Lecco dove viveva da quindici anni), la voce di Eluana si è sentita sette volte, e l’équipe solerte le ha annotate tutte. I suoni si moltiplicano il 4, e poi il 5, finché il 6 (all’alba di quel giorno si è smesso definitiva­mente di nutrire e dissetare la giovane) la mano di un’infermie­ra scrive per la prima volta: “Sembrano sospiri”. E forse lo sono, se il giorno 7 cessano an­che quelli. Eluana morirà im­provvisamente già il 9 febbraio alle 19 e 35, senza più la forza di gemere: “nessun suono”, ma ore e ore di “respiro affaticato e af­fannoso”. Nei palmi delle mani, strette, i segni delle sue stesse unghie.
Ancora più esplicite le pagine del diario clinico di quei sette giorni udinesi, racconto di un’a­gonia che inizia sull’ambulanza, quando il dottor De Monte an­nota la terribile tosse che scosse Eluana, e prosegue con asettico cinismo: Eluana si lamenta, E­luana non ha quasi più saliva, non suda nemmeno più, le mu­cose si asciugano, iniziata umi­dificazione, idratata la bocca, frizionata su tutto il corpo con salviette rinfrescanti. Il decoro.
L’igiene. C’è anche lo spasmo con cui la prima notte arrivò a e­spellere il sondino: allora lo scri­vemmo e ci diedero dei bugiar­di … “Non eseguito cambio pan­nolone perché non urina più”: è il giorno della morte. Tutto rego­lare, dicono i magistrati, tutto perfettamente annotato. A parte quella mezzoretta tra il decesso e la registrazione dell’elettrocar­diogramma, un ritardo dovuto alla difficoltà di reperimento del­lo strumento, scrive il capo dell’équipe …

A parte, ancora, quelle tre ore che l’8 febbraio, il giorno prima della morte, in pie­na agonia, una giornalista di Rai 3 Friuli e un fotografo trascorro­no nella stanza di Eluana ripren­dendone gli affanni.
Ci avevano detto che Eluana non avrebbe sofferto, e veniamo a sa­pere che morì tra gli spasmi, con 42 di febbre. Che da molti anni pesava 65 chili. Che risultava «obiettivamente in buone condi­zioni generali e di nutrizione, con respiro spontaneo e valido, vigile durante buona parte della giornata». Che da due anni ave­va di nuovo «il mestruo». Che l’alimentazione col sondino «non aveva mai dato complican­ze » e i «parametri vitali si erano sempre mantenuti stabili, la pa­ziente non ha presentato mai patologie ad eccezione di spora­diche bronchiti-influenzali, prontamente risolte con antipi­retici ». Ce l’avevano descritta co­me un corpo “inguardabile”, u­na vista “devastante, piagata dal decubito, magra come uscita da un campo di concentramento”.
È pure calva, aggiunse Roberto Saviano …

“Ha capelli neri, cute liscia ed elastica, corpo normale, nessun decubito”, recita ora l’autopsia. Ma lo attesta il perito: «Le disposizioni sono state mi­nuziosamente seguite».