Il quotidiano torinese La Stampa ospita una rubrica di Mina. La cantante trova da ridire sulla scelta di far recitare l'Infinito di Leiopardi a Dustin Hoffman e senza tanti fronzoli scrive che ...
"Leopardi bisogna meritarselo"
Sarebbe andato benissimo anche Oliver Hardy. Al quale, paradossalmente, in questa demoralizzante «performance», mi sembra che assomigli. Non so come l’avrebbe fatta Ollio. Non peggio, credo.
Come siamo irrecuperabilmente provinciali, «benedettalamadonna». «Sempre caro mi fu quest’ermo colle…». Ed è ancora molto caro anche a noi, Giacomino. Ti sei arrabbiato? Io sì, un pochino. Sentire la nostra potente, meravigliosa lingua strapazzata dal pur bravo divo americano mi ha rigettato giù, nella nostra condizione di sempiterna colonia. E sentire i tuoi versi alla «uazzammerica» mi ha fatto nascere un sentimento come di protezione nei tuoi confronti. Pensa te… Cosa vuoi che protegga io? Ci sarà pure chi non abbia perso la grazia, l’accuratezza, il garbo, l’eleganza, insomma, e il potere decisionale per applicarli. Il mondo della pubblicità è un mondo di matti. A volte geniale, ma più spesso volgare e irrispettoso.
E ci sei andato di mezzo anche tu, Giacomino. Dustin Hoffman, from Los Angeles, sarà anche un «nome che tira», ma non li avevamo noi degli attori al suo livello? E che parlano italiano? E che conoscono la musica dell’andamento di un’esposizione poetica? Popolizio non andava bene? Fantastichini non andava bene? Albertazzi non andava bene? Ma anche la Melato, la Proclemer non andavano bene?
Lui, Hoffman, in fondo non c’entra granché. L’hanno chiamato, gli hanno dato una paccata di soldi, perché dire di no? Ma sì, e poi gli spaghetti, i mandolini, le belle donne, lo shopping, eccetéra eccetéra, come direbbe lui. Le Marche, anche se Dustin non conosce l’italiano, declinate come un vezzeggiativo, singolare, femminile diventano quello che, in buona sostanza, è stata la ragione di questa prestazione. Ma lui, immagino, non sa neppure cosa siano. «Di esser marchigiani bisogna meritarselo», diceva Vincenzo Cardarelli. Fierezza e selezione accurata che non sono state praticate, questa volta.
«… e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo…». Ecco, ce lo fingiamo volentieri anche noi, il silenzio. La quiete la recupereremo senz’altro. Siamo abituati a ogni tipo di ingiuria. Oltraggi ben più gravi ci assillano in questo periodo, e il nuovo anno non promette niente di buono. E la poesia ci sembra un insolente lusso. Ma io non mi rassegno e continuo a mangiare di questo pane, a incrociare su queste acque. «E il naufragar m’è dolce in questo mare».