Il settimanale on line di informazione cattolica “Il nostro tempo” ha dedicato domenica 27 un servizio a padre Giuseppe Moretti
“Un miracolo a Kabul” di Miriam Massone
Raggiungo la piccola chiesa dell’ambasciata d’Italia a Kabul, sulla Great Massoud Road, in un pomeriggio gelido. L’architettura è semplice, ma accogliente, si respira odore d’incenso, c’è il crocifisso sopra l’altare, la scritta «Dio è amore», un grande presepe che ricorda quelli delle nostre chiese. Sui banchi di legno tre suore pregano in ginocchio snocciolando il rosario tra le dita. Mi accoglie un cane, «fatto alquanto insolito», penso, un pastore tedesco dallo sguardo dolce: «Si chiama Bengy» esordisce venendomi incontro padre Giuseppe Moretti «e questa è l’unica chiesa cattolica di tutta l’Afghanistan, intitolata alla Madonna della Divina Provvidenza».
Comincia così la mia conoscenza di padre Moretti, originario di Recanati, barnabita di 67 anni, da nove parroco a Kabul, ora anche cappellano onorario per i militari americani e dal maggio 2002 superiore della Missio sui iuris dell’Afghanistan, «per esplicito volere di papa Giovanni Paolo II» ci tiene a precisare, mentre, nella casa canonica allestita sul retro della cappella mi fa notare una foto appesa al muro che lo ritrae con Papa Wojtyla.
Padre Moretti ha dedicato tutta la vita alla causa afgana, soprattutto ai bambini, se n’è sempre interessato fin dal 1977 e da anni sta lottando per realizzare il suo grande sogno: «Sarebbe bello riuscire a costruire una chiesa cattolica pubblica, fuori dalle mura dell’ambasciata: in realtà il progetto è nato molti anni fa, poi gli eventi, le guerre, il regime talebano, hanno fatto cadere i piani. Forse adesso i tempi sono di nuovo maturi. Ci sono stati alcuni elementi importanti che mi fanno ben sperare: il fatto ad esempio che il presidente Karzai abbia partecipato ai funerali di Papa Giovanni Paolo II e che il Ministro degli Esteri sia venuto in Italia per il meeting di Comunione e Liberazione. Ora confido in un impegno serio da parte della diplomazia europea».
Ma un sogno, padre Moretti, lo ha già realizzato: nel corso degli anni, raccogliendo le offerte dei fedeli, è riuscito a mettere da parte una somma sufficiente per costruire una scuola, la «Scuola della pace». «Da 24 anni avevo questo obiettivo: ora finalmente sono riuscito a concretizzarlo e senza i finanziamenti di organizzazioni internazionali laiche piuttosto che cattoliche, ma soltanto grazie ai soldi di chi ha creduto in questo progetto». La scuola ospita cinquecento bambini e bambine, strappate in questo modo alla strada: «Quello dei bimbi afgani è un serissimo problema, tuttora irrisolto» spiega padre Moretti «molti sono stati abbandonati, tanti sono rimasti orfani di uno o di entrambi i genitori, morti durante gli anni della guerra civile o dei bombardamenti americani. Mancano le scuole, gli edifici, i locali per ospitare questi bambini, ma mancano soprattutto le istituzioni che se ne prendano cura. Fortunatamente in Afghanistan non c’è il turismo sessuale, però spesso i bambini vengono sfruttati da adulti senza pietà che gestiscono pericolosi traffici di organi. E non esiste l’adozione, neppure quella a distanza, per cui è il Paese stesso che dovrebbe farsi carico di questa piaga sociale».
Padre Moretti, con l’aiuto di alcune suore e la discreta compagnia del cane Bengy, si prende cura della chiesa nei minimi particolari, mentre dalla porta (è quasi l’ora della messa pomeridiana) entrano fedeli di ogni nazionalità. Nella piccola cappella dov’è custodita la statua della Madonna della Divina Provvidenza c’è un ex voto, un cimelio di bandiera italiana bucherellata da schegge: «Risale al 1992: durante la guerra civile, i mujaheddin lanciarono un colpo di cannone che arrivò proprio qui, in ambasciata. Poteva essere una strage, invece non colpì nessuno, non ci fu neppure un ferito, solo tanta polvere e una gran paura». In un’altra occasione invece, lo stesso padre rimase ferito da una scheggia di missile. Eppure non ha mai perso il coraggio, anzi si dimostra fiero per il suo «piccolo eremo di Kabul» come si diverte a chiamare la chiesa. «Mi trovo molto bene, sono soddisfatto del mio operare e credo che la ricostruzione di questo Paese proceda anche grazie all’impegno crescente della comunità internazionale dei cattolici».
Nel corso degli anni, i fedeli sono aumentati: i cattolici praticanti sono circa un centinaio, ma ora a Kabul esiste anche una numerosa comunità di filippini («Hanno composto uno splendido coro durante la messa di Natale»), ma ci sono anche alcuni afgani catacombali. «Non sono mai solo» conclude padre Moretti «oltre alle tante persone che frequentano l’Ambasciata e la chiesa, ci sono molte suore di diverse congregazioni, come le Piccole sorelle di Gesù, francesi, le Marcelline, le Domenicane e le Francescane, ad Herat sono in arrivo suore indiane, mentre qui a Kabul stiamo aspettando le suore di Madre Teresa di Calcutta».
Intanto una piccola campanella avverte che sta per cominciare la messa del pomeriggio: è arrivato il momento dei saluti. Sta per calare il sole su Kabul e nella piccola chiesa della Divina Provvidenza si accendono le candele.