Omelia di S. E. Mons. Claudio Giuliodori
In questa Notte Santa tutti cantano di gioia. La liturgia è come una grande sinfonia in cui si rincorrono note di esultanza. All’annuncio che “oggi è nato per noi il Salvatore” il salmo responsoriale ci ha esortato a sciogliere il nostro cuore e la nostra lingua in canti di gioia: “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate, uomini di tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome”.
Troppo bella la notizia della venuta di Dio in mezzo a noi per non sussultare ed essere percorsi da un fremito di incontenibile gioia. Elevando preghiere e seguendo percorsi di riconciliazione, scambiandoci doni e formulando auguri, coltivando sentimenti di tenerezza e compiendo gesti di carità ci siamo preparati nel tempo di Avvento ad accogliere il Salvatore. Ed ora il nostro cuore è colmo di gioia.
Ma come il Signore è venuto in mezzo a noi? L’evangelista Luca non ci nasconde le difficoltà che accompagnano la venuta di Dio nella carne umana e nella storia, anzi sembra voler rimarcare la precarietà di questa singolare nascita. Tutto avviene mentre Maria e Giuseppe sono in cammino, non in casa. Non c’è neppure posto per loro in albergo, per cui il bambino viene posto in una mangiatoia. Non ci sono parenti e amici che accorrono per rallegrarsi, ma solo pastori che vegliano il loro gregge a cui l’angelo rivolge un annuncio inaspettato e sconvolgente: «Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2, 10-11).
Nessun segno di potenza. Nessuna condizione privilegiata. Nessun evento eclatante, se non la voce degli angeli. Dio si fa uomo abbracciando la nostra condizione umana nella sua concreta fragilità e debolezza. Appare subito chiaro che l’Emmanuele, il Dio con noi, si pone al nostro fianco e vuole camminare con noi, come con Maria e Giuseppe che salgono a Betlemme. Nasce “senza fissa dimora” e si affida fiducioso a ciascuno di noi, all’umile mangiatoia del nostro cuore; questo è addirittura il “segno” a cui rimandano gli angeli. L’annuncio viene rivolto a coloro che, come i pastori, vegliano preoccupati e “in guardia” per le necessità della loro esistenza.
L’annuncio è rivolto proprio a loro: ai pastori, e per giunta nella notte. Strano modo di fare comunicazione! Se avesse scelto una città più importante, un luogo più suntuoso e più frequentato, dove magari potevano esserci scribi e sacerdoti, forse questa buona notizia avrebbe fatto più effetto e si sarebbe diffusa con maggiore rapidità. Fin dall’inizio della sua missione si rende evidente che il Redentore non segue la logica di questo mondo. Lo dirà chiaramente Simeone a Maria quando Gesù viene presentato al tempio: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2, 34-35).
Ma chi sono i pastori di oggi che vegliano nella notte e a cui si rivolge l’angelo per annunciare il gioioso evento del Natale? Mi sembra di averne incontrati molti in questi giorni, in particolare nelle scuole e nelle fabbriche. In occasione della tradizionale celebrazione natalizia che mi ha permesso di pregare e dialogare con migliaia di studenti e di lavoratori ho colto una sensibilità nuova, un’attenzione diversa. Sarà forse l’effetto di una maggiore preoccupazione dovuta alla crisi economica, sarà per un sussulto di attaccamento alla tradizione religiosa dopo la sconcertante sentenza di sfratto per il crocifisso dalla nostre aule scolastiche, ma è certo che molti di più e con maggiore disponibilità ad accogliere il Salvatore hanno messo piede quest’anno nel presepio e hanno sentito l’esigenza di accostarsi a quella mangiatoia da dove ci sorride, allargando le sue braccia, il Signore della vita.
L’angelo si rivolge poi, in modo tutto particolare, a quei pastori che sono gli uomini e le donne che vegliano sul gregge della loro famiglia. È un gregge oggi provato e fiaccato da tante difficoltà che derivano dalla mancanza di vere politiche si sostegno alla famiglia, da una cultura individualista e relativista, da una diffusa fragilità affettiva, sempre più marcata, che si manifesta nella lacerazione del tessuto relazionale e nel conseguente moltiplicarsi di separazioni e divorzi. Possano questi pastori del gregge familiare accogliere l’annuncio dell’angelo che li invita a non temere di affidarsi al Bambino Gesù e di seguire l’esempio della Santa Famiglia di Nazareth.
Mentre celebriamo il grande evento nuziale che unisce il cielo alla terra, l’umano al divino, proprio il segno per eccellenza di questo evento, il sacramento del matrimonio che unisce l’uomo e la donna e li rende collaboratori di Dio nella generazione della vita, diviene sempre più instabile e fragile. Un pensiero e una preghiera particolare, in questa Santa Notte, li rivolgiamo al Signore per i giovani che si preparano a formare una nuova famiglia e per tutte le famiglie, in particolare per quelle che si trovano ad affrontare difficoltà e sofferenze, che rischiano di perdere la fiducia e la speranza.
Ovviamente tra i pastori ci siamo anche tutti noi che accogliendo con stupore l’annuncio dell’angelo ci siamo riuniti nella nostra Cattedrale per contemplare il Verbo fatto carne, per far festa a Colui che è la nostra speranza e la nostra gioia, per rinnovare, prostrati in adorazione, la nostra fede in lui, Salvatore e Redentore. Fissando lo sguardo sulla sua nascita sappiamo che anche noi rinasciamo con lui secondo quell’equazione teologica tanto cara ai Padri della Chiesa per cui Dio è nato in terra affinché ogni uomo possa rinascere alla vita celeste. Dio si è umanizzato perché l’uomo possa essere divinizzato.
Con l’incarnazione di Dio, di fatto, viene rovesciata la prospettiva della vita. Se Dio mette le sue radici in terra è perché l’umanità possa riscoprire che le sue vere radici sono in cielo. Lo possiamo dire con le parole di P. Matteo Ricci di cui nel prossimo anno celebreremo il IV Centenario della morte: «Un albero ha le sue radici nel suolo, dal quale riceve nutrimento ma estende maestoso il suo tronco e i suoi rami verso il cielo. L’uomo invece ha la sua base nel cielo, dal quale riceve lo sviluppo, ma il suo tronco e i suoi arti tendono verso il basso». È una parte della prima delle otto canzoni per clavicembalo composte dal Ricci in omaggio all’Imperatore Wan Lì.
In questo, che è anche l’anno dell’astronomia in omaggio a Galileo Galilei che nel 1609 iniziava a scrutare il cielo con nuovi e più raffinati strumenti, vogliamo anche noi seguire la stella che ci conduce al Messia atteso dalle genti, cosicché ascoltandolo e imitandolo, possiamo sempre più radicarci in cielo ed estendere i nostri tralci fino agli estremi confini della terra, portando frutti copiosi di grazia e di verità.
Un segno di grazia è certamente l’apertura missionaria della nostra Chiesa diocesana. Abbiamo pastori, questa volta non solo in senso metaforico, in ogni latitudine della terra che ci fanno sentire il mondo come un grande presepio. Ce lo ricordano con parole toccanti Don Alberico e Don Jorge che sono da tre mesi in Argentina a Puerto Madryn per servire una Chiesa sorella. Così scrivono nella e-mail che mi hanno inviato ieri: “Da lontano, ma vicini nel ricordo e nella preghiera, inviamo i nostri migliori auguri. In questo primo tempo abbiamo condiviso con la famiglia di Nazareth la precarietà, la povertà, l’essere stranieri. Ascoltare, cercare una casa in mezzo al quartiere, camminare per risolvere i vari problemi… per mettersi in regola con i documenti… un cammino a volte allegro a volte stanco... come il cammino di Maria e Giuseppe per trovare un posto dove far nascere Gesù… per trovare anche noi un “posto” dove far nascere, o meglio, far crescere i piccoli semi di fede presenti in mezzo a questa gente. Per mezzo di lei vogliamo far arrivare i nostri auguri a tutto il presbiterio e a tutta la comunità ecclesiale diocesana. Che le nostre Chiese siano l’umile presepio, e che il Signore ci doni di avere la stessa esperienza dei pastori, sia nell’andare come nel tornare. Auguri”.
Anche la nascita di questa nuova missione è un segno natalizio che ci rallegra e ci da speranza. Davvero, ancora una volta, in questo Santo Natale facciamo esperienza che «è apparsa la grazia di Dio», come ci dice San Paolo nella seconda lettura e questa presenza divina ci «insegna a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà».
Siano questi i sentimenti che vegliando accanto al Bambinello con Maria e Giuseppe, possano maturare sempre più nel nostro cuore “nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”. Amen.