RECANATI/MACERATA - "Sempre caro mi fu quest'ermo colle..." Come si traduce il celebre verso che apre l'Infinito di Giacomo Leopardi in... emoji?
Ci ha provato una comunità web italiana, coordinata dalla recanatese Francesca Chiusaroli, docente di glottologia e linguistica dell'Università di Macerata, che ha lavorato sul testo della poesia.
Il risultato lo si può "leggere" a "L'Infinito. Un racconto per immagini e documenti", la mostra organizzata nelle Sale Antiche della Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti di Macerata fino al 16 aprile.
Sono esposti libri, documenti, foto e ben 27 traduzioni della celebre poesia, dall'aramaico al gaelico fino appunto agli emoji, su iniziativa della Cattedra Leopardi di Unimc.
Il titolo viene rappresentato dal classico simbolo dell'infinito, il doppio anello che torna nel primo verso insieme a una clessidra a significare "sempre", mentre "caro" viene reso da una delle classiche faccine, circondata di cuori.
Ci vuole un po' più di fatica per decifrare "ermo" e "colle": ci sono una montagnetta e un volto maschile insieme, più una montagna somigliante a quelle del Grand Canyon. Il resto del testo poetico si snoda tra trovate buffe, come "sovrumani silenzi" tradotto con una campana barrata e il pianeta Saturno per "ove per poco il cor non si spaura".
C'è anche il telescopio che permetterebbe di vedere "l'ultimo orizzonte", se la visuale non fosse esclusa dalla siepe.
Altre sono invece molto suggestive come l'uso dell'onda di Hokusai che richiama "annega (il pensier mio)", l'idea di "naufragar" e il mare.
Il team coordinato da Francesca Chiusaroli ha già prodotto una traduzione in "emojitaliano" (con testo a fronte) di Pinocchio di Carlo Collodi, il primo esempio di versione in emoji di un testo letterario italiano, un esperimento di elaborazione di un codice artificiale, comprensivo di lessico e grammatica, che vuole esplorare le potenzialità comunicative del repertorio dei celebri pittogrammi della comunicazione digitale.
La mostra di Macerata offre anche uno squarcio inedito sul successo di Giacomo Leopardi: il poeta si sentì infelice e incompreso tutta la vita. Soffocato dal clima provinciale del 'natio borgo selvaggio' di Recanati, i cui ricordi e suggestioni hanno tante parte nelle sue opere. Oppure deluso dagli ambienti delle grandi città.
Ma "le traduzioni delle sue opere - spiega la prof. Laura Melosi, che dirige la Cattedra Leopardi - datano dall'indomani della sua morte", avvenuta nel 1837 a Napoli. Fin dalla metà dell'Ottocento" si è cominciato ad avere un grosso lavoro a livello europeo, soprattutto dei Canti, che rappresentavano l'opera più conosciuta. Questo interesse si è molto intensificato nel Novecento". Grazie a una borsa di studio del Lions Club di Macerata, la Cattedra Leopardi ha avviato una ricerca per redigere una bibliografia di tutte le traduzioni attualmente disponibili. E sono venute fuori parecchie sorprese: "Abbiamo trovato pubblicazioni in aramaico e gaelico. Poco si sapeva di traduzioni in albanese, che invece datano alla metà del Novecento. Per non parlare di Cina e Giappone, dove gli studi sono già più avanzati". Cui si aggiunge adesso anche la traduzione in emojitaliano.