Profondo conoscitore di Sampaolo uomo, prima che pittore, era Franco Foschi, che dedicò alcune righe all’amico ed artista. Parole che oggi fanno da prologo alla mostra che si aprirà sabato 20 ottobre.
Da i ricordi di Franco Foschi (Recanati - 13 aprile 1991)
«Cominciò a dieci anni a sentire il bisogno di disegnare e al tempo stesso impastava la creta e costruiva figure. Cercava il suo linguaggio. Gli fu maestro Cesare Peruzzi, che tra gli altri meriti della sua inesauribile giovinezza artistica ha avuto anche quello di tenere una scuola di disegno a Recanati. Ci fu poi il breve anno dell'Accademia d'Arte a Roma, sotto la guida del giovane Domenico Purificato. La guerra sconvolse anche i sogni di Sampaolo e ne fece un laureato in giurisprudenza e un funzionario comunale, invece che un accademico diplomato.
Ma ai sogni non si sfugge e Sampaolo aveva continuato anche al fronte a disegnare e ad usare i suoi acquarelli e i suoi pennelli. Forse ciò che perse dell'Accademia lo acquistò in spontaneità. Senza una scuola, non poteva cadere nei rischi dell'imitazione e della retorica. Fece più fatica naturalmente, ma cercò di esprimere i suoi pensieri, i suoi sentimenti, con una grafia sua personale e con immagini che nulla concedono alle mode o ad un falso intellettualismo di maniera.
La fierezza di un quasi auto-didatta spiega anche perché spesso non visitava le mostre di altri artisti, per non esserne influenzato. E spiega anche un certo atteggiamento iper-critico ed ironico per cui si autodefiniva "linguaccia". Un atteggiamento che difendeva la sua libertà interiore e non diminuiva la sua generosità.
Si era formato tuttavia una sorta di gruppo spontaneo di artisti amici, che discutevano per ore e notti intere sulle tecniche e sui risultati, che cercavano il senso dell'arte e della vita e che sentivano l'esigenza di interrogarsi sul futuro da costruire, dopo la devastazione della guerra. C'era Ismaele Casadei e Peppe Cecchini, ma soprattutto Irnerio Patrizi, il Professore della scuola bolognese, che "Gigio" Sampaolo osservava per ore mentre dipingeva meticolosamente nei suoi paesaggi e parlava della sacralità dell'arte. Irnerio era il rovescio di Sampaolo in certo modo, preciso e lentissimo, quanto Gigio era rapido e intuitivo; ma era il Professore ammirato da tutto il gruppo di questi spiriti liberi, per la sua cultura e per le sue improvvise ire di eterno fanciullo che li faceva sentire in fondo tutti egualmente vivi e pieni di interrogativi.
Sampaolo era orgoglioso di definirsi figurativo e di poter essere compreso da tutti, ma non rinunciò mai ad esprimere un messaggio che nasceva dalla sua fede cristiana nei valori di una tradizione e di un popolo come quello recanatese, cui apparteneva profondamente, senza distinguere tra il suo essere nato a Porto Recanati e il suo essere diventato pittore abitando il colle leopardiano.
I paesaggi della campagna marchigiana sono l'aspetto più noto e più fecondo dell'opera di Sampaolo. Una vera antologia dei luoghi stessi dell'ispirazione leopardiana: quasi l'immagine plastica delle origini della poesia. Alberi verdi, querce annose, alberi spogli, il sereno del cielo, il mare sullo sfondo e i monti azzurri dell'infinito. Le antiche case delle campagne, i pagliai, i buoi, gli uomini stessi, sono immersi nella magia di un silenzio carico della pazienza e delle speranze di lunghi secoli. Domina su tutto il colore verde, che per Sampaolo significava - lo disse lui - tranquillità, silenzio, pace, non violenza. E in quell'impasto di verde c'era un messaggio contro il massacro della natura. Sono più di trenta anni - disse in un'intervista verso la fine della sua vita - che parlo della difesa dell'ambiente, che alcuni scoprono solo ora; stiamo perdendo il gusto della natura e così distruggiamo noi stessi: per gusto - diceva - dipingo "le luci, le voci e i canti della mia terra". E per questo tra i suoi temi c'erano le antiche immagini della vita quotidiana del popolo contadino: il tempo della vendemmia, la raccolta del grano, la polenta, i documenti di una civiltà che rischia di essere dimenticata. In qualche modo i temi stessi del grande Rodolfo Ceccaroni, ma anche quelli di Politi, di Cecchini, di tutti quanti gli artisti recanatesi, fino al più grande, Lorenzo Gigli. Quello che, pur vivendo quasi in esilio di là dall'Oceano, restò sempre per i recanatesi "Lorè de Lalla", come per sempre Sampaolo resterà sempre "Gigio de Lisetta", dagli affettuosi diminutivi delle forti madri di questi nostri artisti autentici.
C'è un Sampaolo meno noto, quello dei disegni in bianco e nero, dei ritratti, della scultura soprattutto. Lui diceva che nella sua pittura c'è anche la scultura ed è vero. Ma c'è in particolare in queste forme espressive il mondo degli affetti, delle persone care, ritratte con gli occhi del ricordo e con un raro calore.
Negli ultimi anni aveva trovato una capacità di sintesi che gli consentiva di ritrarre con pochi essenziali pennellate scene di particolare efficacia. I frati della Cappella Musicale di Loreto e lo scorcio della processione in Piazza della Madonna, esposti nel 1986, sono esempi di una nuova fase pittorica che segnava la maturità dell'artista, che molto cammino avrebbe potuto ancora compiere se il Signore non avesse disposto diversamente.
Alla fine, mi pare di ritrovare l'amico, oltre che l'artista, in un piccolo fatto che lo aveva tanto colpito e di cui era giustamente orgoglioso. Un contadino che aveva visitato una sua mostra, era restato a lungo a contemplare una scena della raccolta del grano, che risvegliava in lui i ricordi dell'infanzia. Poi, quasi commosso, commentò: "Mi sembra di sentir cantare le cicale". E questo, per Sampaolo, valeva di più che qualsiasi giudizio di un critico raffinato. »