Il convegno dell’Associazione degli italianisti tenutosi in due giornate, il 3 e 4 aprile, a Recanati ha avuto un rilievo e uno spessore di elegante qualità. Elegante perché il tema “Insegnare Leopardi” sfuggiva alla banalitàdelle riunioni dedicate alla didattica e non era utilizzabile per conferenze ripetitive e di routine. Chi ha parlato ci teneva a tenere elevato il tono e proprio perché si rivolgeva a un numeroso pubblico giovanile dava il meglio di sé, facendo di ogni lezione un modello personale di interpretazione e di comunicazione.È stato stimolante ascoltare Luigi Blasucci, indiscusso esperto di Leopardi, fare della sua fluente relazione, pur partendo da un tema specifico, Commentare Leopardi, una sintesi fascinosa delgrande poeta; è stato innovativo l’intervento di Antonio Prete, che nella formula “il pensiero poetante” ha concentrato il sensodella vittoria sul pessimismo; un piacevole incontro quello con Giulio Ferroni, autore di noti testi scolastici; una interessante presenza quella di Dante della Terza, che ha insegnato molti anni ad Harvard e ha lo stile dei professori americani, vicini ai loro allievi e abituati a seguirli durante le giornate di studio. Poi ci sono stati i relatori più giovani, quelli che hanno portato la freschezza di idee nuove e l’esperienza diretta con l’insegnamento nelle scuole superiori. Ad ascoltarli tutti e con curiosità in quelle due giornate, a notare con quanta attenzione sceglievano le parole e i costrutti per farsi capire dagli ascoltatori più inesperti, con quanta sicurezza maneggiavano critica e informazioni, veniva spontaneo domandarsi perché tanto risparmio di consenso e di approvazionee tante ingiuste accusealla scuola di oggi e ai professori.A chiusura del convegno, la piena soddisfazione di tutti è stata la prova di una scelta giusta per aggiornare insieme studenti e professori e per cercare nella varietà delle esperienze l’unità dell’educazione. Tra le due giornate una serata teatrale veramente inconsueta, l’evocazione al Persiani della Batracomiomachia e di molte poesie di Leopardi fatta da Norma Stramucci, la cui eccezionale capacità di memoria è messa al servizio di una recitazione fluida e controllata, senza spazio per gli errori e le dimenticanze. Come se leggesse nel limpido schermo del concentrato dei suoi neuroni addetti al ricordare, centinaia di versi sono scivolati dal palcoscenico al pubblico, mantenendo intatto il loro significato, arricchito dalla consapevolezza che vi infondeva l’attrice e spaziato dagli interventi musicali del gruppo I Lanafina. In passato personaggi come Pico della Mirandola, che recitava la Divina Commedia dalla prima all’ultima parola e dall’ultima alla prima, e come Matteo Ricci, che stupì e spaventò un suo potente interlocutore cinese per la velocità con cui apprese e ripeté un lunghissimo elenco di ideogrammi che gli veniva proposto, erano rari, ma abbastanza presenti anche nella cultura orale. Oggi che l’esercizio della memoria è bandito e che attori, cantanti e simili hanno bisogno spesso dei più vari espedienti per sostenere i ricordi, il caso Norma rappresenta una gradevole eccezione, con una punta di misteriosa magia.