PORTO RECANATI – Dopo aver pubblicato nei giorni scorsi le motivazioni dell’avv. Berti, il legale del comune, sul cui parere l’amministrazione Montali ha deciso di procedere all’annullamento delle procedure per l’approvazione della variante del Burchio, ecco le osservazioni e controdeduzioni inviate a stretto giro posta al comune dai legali della Coneroblu, avv.ti Calzolaio e Pantanetti. In fondo alla relazione anche una legenda completa delle chiose che appaiono numerate.
Ricordiamo ai nostri lettori che è partito sulla home page di Porto Recanati un sondaggio: Burchio Si Burchio No.
Questo il testo della comunicazione della Coneroblu al comune.
“….. omissis …… preme tuttavia preliminarmente precisare quanto segue.
Quale che sarà in futuro la decisione dell’Ente a proposito dell’esercizio dell’autotutela, non vi è dubbio che il Comune è tenuto fino ad allora ad agire secondo buona fede nel rispetto della delibera consiliare n. 63 del 2013, cui hanno fatto seguito le successive delibere assunte dagli organi dell’Ente nel procedimento di variante al PRG.
Si chiede quindi che gli organi competenti diano formale assicurazione alla Società che sarà posta senz’altro all’ordine del giorno del Consiglio comunale non solo la conclusione del procedimento di autotutela oggi intrapreso (salva sua preventiva archiviazione per le ragioni che saranno illustrate col presente atto e quante altre potrà il Comune autonomamente apprezzare), ma anche la approvazione o meno della variante, in modo che in caso di diniego di autotutela non sia pregiudicato il tempestivo esame della variante stessa.
Il mancato immediato riscontro a tale istanza costituirebbe e sarà considerato di per sé come una gravissima inosservanza preordinata alla elusione del preciso dovere dell’Ente di concludere con una determinazione formale il procedimento di variante[1] e al contempo una gravissima lesione degli obblighi di correttezza e buona fede dell’Ente da osservare nelle relazioni con la parte privata durante il procedimento amministrativo in corso (vedi al riguardo la sentenza Tar Marche 25 luglio 2012 n. 501, commentata al paragrafo 1 che segue), con ogni ulteriore conseguenza di legge.
Si chiede altresì, se il procedimento di autotutela non sarà archiviato dall’Ufficio, che la presente memoria ed ogni altro contributo istruttorio pervenuto al Comune siano posti a disposizione di tutti i componenti dell’organo consiliare, allo scopo di permettere a ciascuno di essi il più consapevole esercizio della funzione pubblica a lui affidata.
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Venendo al merito e fermo restando che l’esercizio della autotutela non può fondarsi solamente su una presunta illegittimità degli atti che ne fanno oggetto, come sarà esposto al successivo paragrafo 6, si ritiene che tutti e ciascuno i vizi prospettati nella comunicazione di avvio del procedimento sono insussistenti per le ragioni esposte nei primi cinque paragrafi che seguono, fino a sfiorare sotto diversi profili una obiettiva pretestuosità.
1) Previsione dell’accordo di pianificazione per la determinazione del contenuto del PRG in assenza di una norma di legge che lo preveda e in violazione dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990.
La sentenza Consiglio di Stato sez. IV 13/07/2010 n. 4545 ha chiarito che, ad avviso della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie, con la "novella" del 2005 che ha modificato in modo decisivo diverse norme della legge n. 241 del 1990, il legislatore ha optato per una piena fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse.
Ne consegue che oggi, essendo venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo).
Né si dica che ciò si riferisce solo alla fase attuativa del PRG.
Al contrario, il Tar delle Marche nella recente sentenza 25 luglio 2012 n. 501 si è occupato di un caso di accordo procedimentale simile al presente in materia di variante urbanistica al PRG, lo ha ritenuto valido e lo ha inquadrato senz’altro (anche ai fini della giurisdizione) nell’ambito dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990.
L’argomento usato dal TAR richiama la evoluzione della prassi amministrativa nel senso che “negli ultimi anni si è di molto rafforzata la tendenza a coinvolgere i soggetti privati nell'esercizio di determinate funzioni pubbliche” e precisa che in tale contesto “non si comprende la ragione per la quale una pubblica amministrazione non possa impegnarsi negozialmente ad attivare un determinato procedimento amministrativo con riguardo ad una vicenda nella quale siano coinvolti soggetti privati”.
Un tale accordo amministrativo dal punto di vista giuridico viene in evidenza come atto di autolimite dell'amministrazione, con il beneficio nel caso della Coneroblu di aver predeterminato a favore dell’ente la parte economica del contenuto discrezionale del provvedimento finale (come si legge nella premessa dell’accordo).
Giustamente il Tar delle Marche richiama ai fini del successivo procedimento i principi di buona fede e di affidamento del privato, ossia i medesimi principi che il parere del prof. Ermanno Calzolaio e la missiva dei legali della società hanno invocato, giungendo ad imporre all'amministrazione l’obbligo di tenere un comportamento lineare e non contraddittorio ed escludendo che il Comune possa in maniera immotivata e repentina porre nel nulla procedimenti ed attività avviati di concerto con soggetti privati.
Viene così smentito l’assunto invalidatorio qui in contestazione.
Dal punto di vista normativo, notiamo poi che l’art. 13 della legge n. 241 si limita ad affermare che “le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”.
La locuzione per cui non si applicano le “disposizioni del presente capo” non contiene alcun divieto al riguardo degli accordi procedimentali[2]; esso quindi non supera il principio della novella legislativa del 2005 e la correlata generale fungibilità dello strumento consensuale, affermata anche dalla recente giurisprudenza sopra richiamata.
La norma anzi prosegue precisando che per i procedimenti indicati “restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”: l’accordo intercorso fra le parti rispetta perfettamente tale prescrizione, in quanto stabilisce che il Comune dovrà dare inizio al successivo procedimento pianificatorio, nel pieno ed indiscusso rispetto delle norme che lo disciplinano.
Prova ne sia che tale procedimento si è articolato in tutte le fasi di pubblicità, partecipazione, esame delle osservazioni, sottoposizione ai prescritti pareri di enti terzi e sovraordinati, senza alcuna eccezione o limitazione.
Dunque la norma è stata perfettamente rispettata sia nel suo tenore letterale sia nella sua ratio.
Quanto poi alla tesi che non sussistano norme specifiche che possano giustificare la stipula dell’accordo, riportata nella comunicazione di avvio del procedimento[3], è sufficiente qui richiamare la evoluzione dell’ordinamento susseguente alla riforma del 2005, sopra ricordata, e segnalare che costituiscono prova della negoziabilità dei procedimenti urbanistici per fini di interesse pubblico, come principio immanente all’ordinamento statale, anche e proprio le leggi che diverse regioni hanno emanato in materia.
Possiamo aggiungere, a corredo di tali considerazioni, che la norma esclude alla applicazione gli “atti amministrativi generali di pianificazione”: nel caso in esame si tratta di un atto amministrativo “speciale” o “parziale”, niente affatto generale. Non quindi la natura dell’atto (di pianificazione o meno) ne determina la rilevanza (o meno) ai fini che ne occupano, bensì il contenuto (generale o meno). Tale distinzione acquista rilevanza ai nostri fini, giacché le varianti speciali o parziali al PRG, quale quella in esame, si caratterizzano proprio in quanto riguardano singole aree, incidendo direttamente su interessi circoscritti a tali aree, e si sottraggono pertanto alla altrimenti ampia e sostanzialmente insindacabile discrezionalità delle scelte urbanistiche generali.[4]
Possiamo aggiungere infine che la giurisprudenza ha considerato ammissibile l’accordo perfino nel caso di accordi relativi a provvedimenti vincolati, purchè residui una discrezionalità dell’ente[5], confermando la portata generale del modulo consensuale di esercizio del potere pubblico.
Per le ragioni che precedono, l’assunto invalidatorio in esame si appalesa privo di fondamento e come tale del tutto insussistente.
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2) Mancata valutazione e comunque difetto di motivazione in ordine allo specifico interesse pubblico di tipo urbanistico alla stipula dell’accordo di pianificazione ed alla inesistenza di altri strumenti alternativi per conseguire i medesimi vantaggi, in violazione dell’art. 11 della legge n. 241/1990.
L’interesse pubblico che connota la variante è espresso in diversi atti deliberativi del Consiglio Comunale e precisamente nella delibera consiliare n. 63 del 30 dicembre 2013, di approvazione dell’accordo, espressamente richiamata nella delibera n. 64 dello stesso giorno ed a questa funzionalmente connessa in modo inscindibile, nonché nella delibera n. 7 del giorno 8 aprile 2014 di esame delle osservazioni ed adozione definitiva.
Esso viene primariamente indicato, sin dalle premesse dell’accordo, nel potenziamento della offerta turistica di Porto Recanati, con conseguente cambio di scala nel mercato internazionale da località con turismo prevalentemente familiare a località più qualificata e prestigiosa.
Si tratta di un obiettivo ragionevole ed appropriato, ribadito anche a pagina 7 della relazione tecnica, che il Comune anzi qualifica in sede di esame delle osservazioni come strategico (vedi l’intervento del Sindaco nel motivare la rejezione della osservazione n. 5, approvato dal Consiglio Comunale nella delibera di adozione definitiva 8 aprile 2014 n. 7).
La contrapposizione di esso rispetto “all’interesse urbanistico inteso come ordinato sviluppo del territorio” e la sua svalorizzazione al novero “di più contingenti esigenze” [6] appaiono francamente inaccettabili.
La recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4518, del 5 settembre 2014 ha infatti ribadito il principio che una struttura alberghiera è e ben può essere considerata di per sé alla stregua di un “edificio o impianto pubblico o di interesse pubblico”, in quanto idonea, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica (Cons. St., sez. IV, 29 ottobre 2002, n. 5913; 28 ottobre 1999, n. 1641; 15 luglio 1998, n. 1044). Ciò sino al punto di poter perfino giustificare il rilascio di un titolo abilitativo in deroga al PRG. E quindi, giocoforza ed a maggior ragione, una variante al PRG medesimo.
Il che si invera nel contesto delle dimensioni significative dell’insediamento proposto, della sua attitudine a promuovere un cambio di scala della offerta turistica di Porto Recanati, delle ricadute occupazionali positive nell’ambito dell’attuale gravissima crisi economica, elementi tutti bene e chiaramente espressi nel testo dell’accordo e nelle delibere sopra richiamate.
Appare francamente del tutto immanente al pubblico interesse anche la valutazione dei notevolissimi benefici economici ed occupazionali a sostegno della variante, ai fini della decisione urbanistica in discorso.
Nè, dopo aver così chiarito il pubblico interesse, si può rimproverare a tali delibere di aver omesso l’esame dei profili più strettamente urbanistici.
Nella delibera n. 63 si legge testualmente che “la variante riveste un interesse pubblico primario per la Amministrazione, … per la proposta di modifica dell’assetto complessivo, che regolarizza geometricamente il comparto in questione, risultando addirittura in decremento il carico urbanistico” e valorizza l’accordo, il quale prevede “la definizione di convenzioni per il perseguimento dell’interesse pubblico”.
Temi questi che tornano puntualmente nelle delibere successive.
In sostanza, il Comune ha evidenziato che la variante urbanistica proposta non si limita a non aggravare, ma al contrario riduce il carico urbanistico sul territorio comunale, introducendo nuove cubature in misura molto inferiore a quelle che vengono rimosse, e porta numerosi benefici in termini di ordinato assetto della zona e di opere ed infrastrutture (si ricordi che l’accordo prevede sia la esecuzione immediata di determinate opere, già avvenuta per l’ammontare di ben € 480 mila circa, sia in futuro la realizzazione e manutenzione di un grande parco di uso pubblico e la ristrutturazione della chiesetta del Burchio e dell'annessa casa padronale: art. 2).
Nella delibera n.63 e nelle successivo sono stati adeguatamente esaminati, come si vede, i vari profili pertinenti l’interesse pubblico, onde anche il secondo assunto di potenziale illegittimità si rivela obiettivamente inconsistente.
Un provvedimento di autotutela che si fondasse su tali argomenti altro non sarebbe se non il mascherato e sviato ripensamento politico-amministrativo, come tale illegittimo, tanto più a fronte di un accordo ormai raggiunto ed ormai pervenuto ad una fase di avanzata attuazione.
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3) Mancata misurazione e valutazione dei valori economici dell’operazione negoziale in violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della azione amministrativa.
4) Violazione dei principi dell’evidenza pubblica e della massima concorrenzialità nella scelta dell’operatore provato con cui concludere l’accordo urbanistico.
Gli assunti invalidatori indicati in epigrafe possono essere trattati congiuntamente.
Occorre sottolineare al riguardo che l’accordo di che trattasi ha natura di accordo procedimentale.
L’accordo procedimentale si caratterizza ai sensi dell’art. 11 perché non sostituisce il provvedimento ma predetermina un aspetto del suo contenuto futuro ed eventuale. Che poi è quanto avvenuto nel caso in esame, nel quale la società ha assunto sia l’impegno di eseguire (ed ha effettivamente eseguito) determinate opere di interesse pubblico, sia l’impegno di introdurre nel futuro piano attuativo determinate ulteriori opere (in primis il parco da concedere in uso pubblico). Dal canto suo, il Comune nell’accordo ha riconosciuto l’interesse pubblico della variante proposta ed ha assunto l’impegno di svolgere il relativo procedimento di approvazione.
Non si determina perciò uno scambio diretto fra impegni del privato e approvazione della variante bensì, come è spiegato in termini chiarissimi nel parere del prof. Ermanno Calzolaio, l’accordo introduce un procedimento in cui resta ben presente la discrezionalità dell’Ente, che questi deve gestire con correttezza e buona fede nelle successive fasi procedimentali e che può giungere a restringersi in limiti minimali nella presente fase conclusiva del procedimento di variante.
Il caso dal punto di vista procedimentale è veramente analogo a quello esaminato dal Tar delle Marche nella sentenza citata al paragrafo 1 che precede.
La comunicazione non precisa le fonti normative che imporrebbero di ritenere obbligatori la misurazione dei valori economici o il previo esperimento di una procedura di evidenza pubblica.
Anche a voler prendere in considerazione i paragrafi C e D del parere dell’avv. Berti, che pure non sono espressamente richiamati dalla comunicazione, risulta evidente che le tesi ivi esposte si fonda sull’assunto della pretesa eccezionalità[7] del modulo consensuale, assunto esattamente opposto a quello affermato dalla sentenza del Consiglio di Stato sez.IV n. 4545 del 2010, richiamata al paragrafo 1 che precede.
Esse poi enfatizzano il soggettivo richiamo a norme statali e regionali che oggettivamente riguardano fattispecie completamente diverse, aventi carattere di specialità in quanto pertinenti la disciplina di particolari varianti urbanistiche finalizzate al recupero o alla riqualificazione urbana (quali i programmi di recupero urbano, i programmi di riqualificazione urbana, nonché in ambito regionale marchigiano i c.d. PORU, che è appunto l’acronimo di “programma operativo per la riqualificazione urbana”: art. 3 della LR n. 22 del 2011) oppure addirittura regolate dalla legislazione di altre Regioni (come l’Emilia Romagna) per definizione inapplicabile sul territorio marchigiano.
Ma la norma dell’art. 11, della cui applicazione si tratta, individua una fisionomia generale completamente diversa dell’accordo. Il comma 1 prevede infatti che la iniziativa possa scaturire da una proposta privata (come è avvenuto nel caso di specie) e che essa debba essere esaminata senza pregiudizio di terzi e nel rispetto del pubblico interesse (come pure avvenuto nel caso di specie).
Altri requisiti la legge non pone.
D’altronde, la proposta è formulata come una iniziativa del privato articolata in più fasi attuative ma specificamente riferita a quella particolare area di sua proprietà, ubicata in quella particolare posizione collinare.
E la convenienza di essa per il Comune e per il pubblico interesse è chiaramente enunciata sia in riferimento alla sua valenza intrinseca (struttura turistica altamente qualificata) sia in riferimento alle opere e agli impegni assunti dalla società proponente.
La trasparenza e la partecipazione al procedimento pianificatorio successivo sono poi assicurate (in conformità anche al successivo art. 13 comma 1, se ed in quanto applicabile) dal puntuale rispetto di tutte le fasi procedimentali stabilite dalla legge, che si sono esplicate nella pubblicità della delibera di adozione, nell’esame delle numerose osservazioni pervenute, nella piena sottoposizione della variante all’esame degli enti competenti.
Risulta dunque evidente che non sussiste la violazione di alcuna norma applicabile, sicchè quelli che gli assunti invalidatori in esame presentano come vizi di legittimità tali in realtà non sono e configurano al più mere critiche su profili relativi alla opportunità o convenienza dell’accordo, in riferimento alle quali non è assolutamente predicabile la ipotesi di un (auto) annullamento.
Anche in questo caso, come in quello esaminato nel paragrafo precedente, un provvedimento di autotutela che si fondasse su tali argomenti altro non sarebbe se non il mascherato e sviato ripensamento politico-amministrativo, come tale illegittimo, tanto più a fronte di un accordo ormai raggiunto ed ormai pervenuto ad una fase di avanzata attuazione.
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5) Previsione dell’accordo di pianificazione in pregiudizio dei diritti dei terzi in violazione dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990.
Anche in questo caso l’enunciazione del vizio è del tutto generica e l’interprete è costretto ad integrarla con il contenuto del parere dell’avv. Berti[8].
Il presupposto argomentativo ivi enunciato è che il Comune avrebbe rinunciato al potere di determinazione unilaterale d’autorità. E’ evidente la intima contraddizione di tale assunto, rispetto a quanto poi il parere viene a sostenere al successivo capitolo IV, laddove afferma che il Comune mantiene una sua discrezionalità nella approvazione o meno della variante [9], la quale assume perciò il suo usuale carattere autoritativo anche verso i terzi.
E’ anche evidente la sua contraddizione con la realtà delle cose, perché l’accordo procedimentale non contiene una tale rinuncia, bensì introduce e vincola il Comune a compiere lealmente tutto il percorso procedimentale tipico di una variante speciale al PRG vigente, come effettivamente avvenuto.
Non si vede dunque a quale titolo i proprietari delle altre aree interessati alla variante, ma non ai contenuti specifici dell’accordo, avrebbero dovuto sottoscriverlo.
Essi hanno infatti chiesto ed accettato sin dal primo momento la reformatio in pejus della edificabilità delle loro aree, che costituisce l’unico effetto della variante sulle loro aree.
Per far constare validamente il consenso alla variante urbanistica, è necessario e sufficiente che essi abbiano sottoscritto – come pacificamente hanno fatto – la iniziale istanza di variante. La sottoscrizione della istanza preclude loro di contestare ed impugnare successivamente gli atti con i quali il Comune realizzerà proprio quel risultato (la variante al PRG) che essi stessi gli hanno chiesto con la istanza stessa. Ciò in forza del divieto di abuso del diritto (e in questo caso anche del processo), che vieta alla parte di “venire contra factum proprium e violare la regola di correttezza e buona fede prevista dall'art. 1175 c.c.” (Consiglio di Stato sez. III 07 aprile 2014 n. 1630 ) e di strumentalizzare il contenzioso giudiziale per fini sviati “secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione giuridico od extragiuridico” (Consiglio di Stato sez. VI 12 febbraio 2014 n. 693).
In tale contesto in predetti soggetti sono pertanto vincolati al rispetto delle conseguenze della loro istanza e nessun ulteriore impegno poteva né doveva essere loro richiesto dal Comune.
Non meno censurabile appare la tesi, a dir poco ardita, che l’erroneo richiamo all’art. 8 della LR n. 22/2011 possa costituire un elemento invalidante la delibera[10].
Tale norma infatti:
- è intrinsecamente inapplicabile (in quanto, a prescindere dal fatto che si inserisce nella ben diversa e specifica procedura del PORU) essa riguarda testualmente la sola “ipotesi di vincoli espropriativi, anche sopravvenuti”, ipotesi che non è minimamente contemplata dall’accordo di che trattasi;
- non ha influito in alcun modo sul provvedimento, chiaramente qualificato come accordo procedimentale e riferito alla legge n. 241 del 1990, onde si applica il consolidatissimo principio che “la mancata o erronea indicazione delle norme di legge su cui il provvedimento si fonda non costituisce ragione di invalidità dell'atto amministrativo”[11].
Anche l’assunto invalidatorio in esame è dunque senz’altro da qualificare palesemente infondato.
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6) Assenza dei presupposti ex art. 21 nonies legge n. 241 del 1990 per l’esercizio dell’autotutela e responsabilità risarcitoria.
Pur non dubitando la comunicazione di avvio del procedimento che sussiste un vero e proprio accordo intercorso fra le parti[12], giacchè - se così non fosse e se l’accordo non producesse un effetto in capo al Comune - non avrebbe senso intraprendere il procedimento di autotutela in ordine alla relativa deliberazione, è bene a conferma di ciò ricordare che la giurisprudenza si è espressa a proposito della mancata sottoscrizione congiunta ed ha attribuito rilevanza impegnativa per le parti anche ad un atto negoziale sottoscritto dalla sola parte privata, evidenziando che la volontà delle parti si è incontrata nell'ambito del procedimento, una volta che l'atto d'obbligo è stato recepito dall'Amministrazione (così in motivazione la sentenza del Consiglio di Stato sez. VI 21 settembre 2011 n. 5300).
D’altronde, tutto sarebbe, tranne che conforme a correttezza e buona fede, la condotta di un Comune che, dopo aver dato esecuzione all’accordo fino ad ora, volesse far valere la omissione della sottoscrizione da parte del responsabile comunale, ossia una omissione ascrivibile al Comune stesso e in qualunque momento emendabile: nessuna conseguenza utile il Comune potrebbe trarne a vantaggio delle proprie odierne tesi, stante il divieto di abuso del diritto già richiamata al paragrafo 5.
Avuto poi riguardo al procedimento svolto dopo l’Accordo (che ha registrato la valutazione favorevole ai fini Vas, il parere favorevole della Provincia, i pareri favorevoli di numerosi enti), la missiva inviata al Comune dai legali sottoscritti in data 12 settembre 2014 ha precisato che a questo punto “i residui margini di legittimo esercizio della discrezionalità per un ipotetico e non creduto diniego di approvazione della variante siano invero esigui, dopo la stipula dell’accordo e dopo la successiva impressionante e coerente sequenza procedimentale sopra descritta”.
Ebbene, altrettanto esigui, fino al limite della riduzione pressochè a zero, sono i margini di discrezionalità per l’esercizio dell’autotutela.
Richiamate infatti le ragioni di infondatezza di tutti gli assunti invalidatori oggetto della precedente disamina e la obiettiva inconferenza (al limite della pretestuosità) della maggior parte di essi, va detto che la legge impone ulteriori ed autonome condizioni al legittimo esercizio dell’autotutela.
E’ ben noto infatti che l’art. 21 nonies esige la sussistenza di ragioni di interesse pubblico, da far valere entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Sul pubblico interesse, basta qui rilevare che la sussistenza originaria del pubblico interesse alla variante, emergente dagli atti, è tale da rendere assolutamente contraddittorio un opposto postumo odiernorevirement e da configurare un mero espediente volto a mascherare la realtà di un mero ripensamento politico-amministrativo.
Inoltre, il tempo trascorso e gli interessi ostativi della parte privata sono tali da superare di gran lunga le eventuali ragioni di un tale ipotetico ripensamento: basta solo rammentare le costose opere eseguite nel frattempo nonché l’affidamento prestato nel procedimento e nella sua conclusione secondo buona fede, affidamento ingenerato da una sequenza costante di atti e deliberazioni del Comune che hanno dato corso al procedimento di variante in riferimento all’Accordo intercorso.
E’ d’uopo ora evidenziare che la scrivente Società, nella non creduta ipotesi di assunzione del provvedimento in autotutela, non potrà che impugnarlo, al fine di conseguirne l’annullamento in sede giurisdizionale e il risarcimento dei danni.
A fronte della dichiarazione di illegittimità di un provvedimento di autotutela con cui è stata annullata una precedente concessione edilizia sorge infatti la responsabilità dell'amministrazione per il danno derivante da provvedimento illegittimo[13].
Tale responsabilità risarcitoria si estende a tutti i danni patiti e patendi, ascrivibili alla vanificazione del procedimento pianificatorio in corso, in quanto l’illegittimo autoannullamento comporterebbe la decadenza del termine di approvazione della variante.
E’ appena il caso di evidenziare che sarebbe anche evidente la colpevolezza della condotta, di cui la illegittimità è di per sé un indice presuntivo; non potrebbe giammai infatti il Comune invocare la scusabilità dell’errore[14], allorchè - grazie alla partecipazione del privato al procedimento, fondamentale presidio di democraticità[15] dello stesso - l’Ente è stato posto in grado di percepire con chiarezza le ragioni di illegittimità di un simile esercizio dell’autotutela.
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Alla luce di tutto quanto esposto, si confida nella archiviazione del procedimento e comunque in una tempestiva decisione che statuisca la insussistenza dei presupposti per la assunzione di un provvedimento finale di autoannullamento.
Attesa la imminenza della scadenza del termine di approvazione della variante da parte del Comune, ai sensi dell’art. 26 della LR n. 32 del 1992, si chiede e di confida altresì che il procedimento sarà concluso dal Comune anche prima del 15 novembre 2014 e cioè dei trenta giorni indicati nella comunicazione.
[1] L’obbligo del Comune di concludere il procedimento è chiaramente enunciato anche alla pag. 24 del parere dell’avv. Andrea Berti, richiamando quanto previsto dalla delibera consiliare di approvazione dell’accordo di programma n. 63 del 2013, ed esso, fino al momento del non creduto esercizio dell’autotutela, vincola il Comune.
[2] Lo stesso parere dell’avv. Andrea Berti alle pagg. 12 e 13 ammette che la norma non è univocamente interpretata nel senso di un tale divieto.
[3] e pure espressa nel parere dell’avv. Berti.
[4] È costante la affermazione in giurisprudenza della necessità di specifica motivazione nel caso di varianti speciali o parziali, quale quella che riguarda un unico determinato terreno (Consiglio di Stato sez. IV 15 aprile 2013 n. 2029 e 21 febbraio 2005, n. 558).
[5] Consiglio di Stato sez. IV 22 maggio 2012 n. 2969
[6] Confronta la pag. 16 del parere dell’avv. Berti.
[7] Così testualmente il parere dell’avv. Berti alla pag. 16 del paragrafo C), primo capoverso
[8] Si ritiene di fare riferimento al paragrafo E, pagine 20 e 21.
[9] Il parere dell’avv. Berti, pur dicendosi a pag. 25 non così distante sul punto dalla posizione espressa dal parere del prof. Ermanno Calzolaio, in realtà enfatizza la ampiezza di tale discrezionalità e minimizza i vincoli che derivano alla stessa sia dall’accordo procedimentale, sia dal procedimento intrapreso e dalle valutazioni già svolte dal Comune nel corso di questo. Il parere del prof. Calzolaio a pagine 9 sul punto aveva riassuntivamente precisato che “il Comune ha esplicitato le ragioni di pubblico interesse che ne sono alla base, si è già pronunciato due volte in senso favorevole, ha avuto l’approvazione della Provincia, sicché a questo punto il margine della sua discrezionalità è circoscritto dalla sopravvenienza di ragioni di pubblico interesse che legittimerebbero il recesso”.
[10] Vedasi il parere dell’avv. Berti alla pag. 21.
[11] Giurisprudenza constante, fra le molte Consiglio di Stato sez. V 26 novembre 1994 n. 1389
[12] Ne dubita invece il parere dell’avv. Berti alle pagine 13 e 14.
[13] Il principio è pacifico ed è stato recentemente ribadito dalla sentenza Consiglio di Stato sez. IV 06 dicembre 2013 n. 5823.
[14] Il cui onere della prova incombe sull’Ente medesimo (Consiglio di Stato sez. V 08 aprile 2014 n. 1644)
[15] Giurisprudenza costante, fra le molte: Consiglio di Stato sez. VI 30 dicembre 2005 n. 7592