di Federica Mingozzi
MACERATA - Carlo Iacomucci è un artista completo, che ha ormai trovato un preciso linguaggio comunicativo che tiene conto della sua formazione, ma anche della sua innata curiositas; queste due caratteristiche lo portano a percorrere con indefessa energia strade di figurazioni sempre nuove e mai scontate.
Le sue opere, infatti, narrano di situazioni differenti che indaga con attenzione: ciò che conta principalmente nella sua attività è la poetica del segno, che passa attraverso le tinte intense di alcuni dipinti o si rimodula attraverso i grafismi monocromi delle acqueforti. In questo contesto, poetica è da intendersi nell’accezione di mondo intenzionale dell’autore, costituito da idee e concetti che gli appartengono e su cui si basa nel suo essere artefice di comunicazione. I suoi segni sono vibranti di emozioni: paiono uscire dalla superficie bidimensionale dei supporti per diventare mondi di colore e forme in cui abitano personaggi animati o manichini, che sono la risposta ad uno dei bisogni dell’esistenza.
Secondo Abraham Maslow, psicologo americano, infatti, per l’essere umano oltre a quelli fisiologici sono fondamentali altri quattro bisogni: di sicurezza e protezione, di appartenenza, di stima e successo e di realizzazione di sé.
Proprio quest’ultimo trova spazio nelle espressioni poetiche del maestro Iacomucci: con la locuzione “realizzazione di sé” si intende la necessità di elevarsi anche a bisogni di tipo spirituale, cosa non sempre possibile nella società attuale; grazie all’arte, però, si può trovare un’alternativa individuale in grado di permettere ai riguardanti di entrare in contatto con la parte più profonda del divenire, quella in cui segni e colori divengono linguaggio totemico di un nuovo codice dialogico che mette in relazione con realtà altre.
Non è un caso che le opere del maestro siano ricche anche di elementi simbolici, come le sette gocce, che rappresentano i sette colori che compongono la luce.
Il numero sette è un valore di straordinaria potenza allegorica: legato alla ricerca della verità e della comprensione del reale, nelle Sacre Scritture rappresenta la completezza e la
Proprio questa completezza, unitamente alla perfezione, è il fine ultimo dei lavori grafici che sono la testimonianza di una acquisita maturità compositiva e immaginativa.
Oltre alle sette gocce è spesso presente l’aquilone che, come ricorda l’artista, è legato a reminiscenze di matrice pascoliana: “S’innalza; e ruba il filo dalla mano/come un fiore che fugga su lo stelo/esile, e vada a rifiorir lontano”.
Il poeta ritrova nella memoria il ricordo dei giochi infantili quando, ospite presso gli Scolopi di Urbino, con i compagni osservava il volo degli aquiloni; questo momento gli offre l’opportunità di riflettere sul significato della vita, la stessa opportunità che il pittore condivide con chi, osservando il volo di quelle che Pascoli definisce “bianche ali sospese”, si pone domande sul valore del vivere, alla ricerca della libertà, l’anelito nei confronti della quale è caratteristica dell’umanità: come diceva Benedetto Croce “La libertà al singolare esiste solo nella libertà al plurale” ed è proprio ciò di cui abbiamo percezione osservando i lavori di un maestro che ci accompagna con mano ferma e spirito fanciullo nel percorso che ogni essere umano deve compiere per trovare se stesso, non da solo, ma in empatia con chi lo circonda.
Questa empatia necessaria è la stessa che i quadri di Iacomucci contribuiscono a rafforzare in chi guarda: l’artista, infatti, si offre agli altri con altruismo e dedizione e lo fa proprio attraverso i suoi segni che, al di là di ogni codice linguistico codificato, hanno il potere di svelare la verità che è insita in loro, guidando l’uomo alla comprensione dell’universo in un percorso iniziatico che si fa conoscenza, nella consapevolezza che, finchè ci sarà il mondo, ci sarà l’arte. Il critico d’arte di Bellinzago Novarese Federica Mingozzi scrive per il maestro Carlo Iacomucci dopo la sua recente presenza a Varallo Sesia.