C’è un Leopardi che non conosciamo? Molto al di fuori di quello studiato sui libri di scuola oppure oggetto delle interpretazioni dei leopardisti?
Lo scrittore Pietro Citati ha scritto un saggio in merito e domenica sera lo ha presentato durante la trasmissione di Fabio Fazio, “Che tempo che fa” (per vedere l’intervista, clicca sulla foto del libro e poi dopo la mini pubblicità iniziale, fare avanzare la barra del temporizzatore delle immagini a 00 16’ 00”).
Un lavoro che sicuramente innescherà un dibattito acceso per come Citati vede Leopardi. Citati non approfondisce Leopardi attraverso le sue opere ma entra nelle opere passando per la vita del poeta. Una chiave di lettura inconsueta per un grande della letteratura ma tale da portare la conoscenza del poeta ad una platea più vasta.
Il passo dunque lo compie in studio Pietro Citati, saggista e critico letterario, autore di “Leopardi”, saggio monografico in cui per la prima volta le opere sono narrate attraverso la vita del poeta di Recanati, e non viceversa.
Dal racconto di Citati si evince che Giacomo Leopardi, il più grande poeta lirico italiano, era un personaggio anche spiritoso, che muore sorridendo. Rivolto all’amico Antonio Ranieri infatti esclama: “Totonno, non vedo più luce”. La potenza del saggio di Citati consiste nel non trattare il limite leopardiano, rappresentato dalla tristezza, dalle malattie, dalla solitudine. Anche se Leopardi vedeva Recanati come un carcere da cui fuggire, era un ragazzo spensierato e possedeva una grande vitalità, pur essendo malato di tubercolosi ossea ed avendo una psicosi maniaco-depressiva. All’età di 19 anni scrive “L’Infinito”: chiuso nel suo spazio “Leopardi sogna l’infinito, ma è un infinito puramente mentale” dichiara Citati.