Dalla redazione del periodico Comunità Democratica, edito a Recanati, riceviamo questo commento dell'on. Bianco
di Gerardo Bianco
Già Orazio ironizzava sui nostalgici del passato, i laudatores temporis acti , bisbetici vecchi che brontolano su tutto. Il rischio è ricorrente in ogni epoca, e puntualmente si ripete anche nel nostro tempo.
Lo rilevava, in un articolo sul Corriere della Sera del 15 marzo, Angelo Panebianco. In realtà, il prestigioso columnist ammette, in apertura del suo pezzo, che l’attuale vita pubblica è immersa in un gran marasma, ma respinge, come ingiustificata, l’esaltazione della cosiddetta Prima Repubblica che sarebbe “trasformata” e “idealizzata” nel ricordo. Panebianco non vuole dimostrare, rispetto ai nostalgici, la “bontà” del nostro tempo, che sarebbe impresa piuttosto difficile, ma demolire la rappresentazione della Prima Repubblica come meritevole di nostalgia. Assorbito dall’intento dissacratorio Panebianco dimentica la dimensione dello storico e si cala così in quella del polemista giornalistico per cui la Prima Repubblica non è quella che ha costruito la democrazia italiana, che ha fatto le scelte giuste in campo europeista e internazionale, che ha operato le grandi trasformazioni sociali ed economiche che hanno inserito l’Italia tra i più sviluppati paesi del mondo, che ha vinto le pericolose sfide interne della semilealtà costituzionale e del terrorismo, e l’elenco potrebbe a lungo continuare.
Per Panebianco la Prima Repubblica era solo un regime partitocratico, con bandiere e simboli di guerra contrapposti, e non considera che proprio nella Prima Repubblica quella condizione post-bellica, eredità del fascismo, è stata superata realizzando tra tutti partiti comunanza di idee sulla natura della nostra democrazia europeista e occidentale.
Come fa Panebianco a sostenere che nella Prima Repubblica non c’era separazione dei poteri che, peraltro, la Costituzione aveva limpidamente sancito, semmai con qualche squilibrio penalizzante per l’esecutivo?
Panebianco estremizza aspetti negativi della Prima Repubblica, come quelli della lottizzazione o del mancato rispetto di alcune regole, assumendoli come totalizzanti e, quindi, come caratterizzanti di un’epoca. Ne deriva una raffigurazione distorta, profondamente errata di questo periodo che diventa incomprensibile per la sua dinamica che ha determinato innegabili conquiste storiche. Panebianco elenca lasciati in eredità dalla Prima Repubblica e cita il dissesto idrogeologico, la carenza di ospedali, di carceri, di scuole e infine il debito pubblico.
Se Panebianco avesse la cura di guardare le statistiche dell’Istat correggerebbe le sue critiche, che scambiano le deficienze esistenti con l’inesistenza di interventi che sono stati invece massicci fin dall’immediato dopoguerra nei settori indicati.
Un discorso a parte meriterebbe il debito pubblico, indubbiamente abnorme, ma che è stato, comunque, controllato, con misure anche energiche, proprio al termine della Prima Repubblica, tanto da consentirci di entrare, fin dall’inizio, tra i paesi dell’Euro, e non fu cosa di poco conto! Ha ragione Panebianco a ricordare che viviamo nel presente e che sono "i problemi di oggi che dobbiamo affrontare con gli strumenti di oggi".
Ha ragione Panebianco ad affermare che la Prima Repubblica non è stata l’età dell’oro, ma ha torto marcio a raffigurarla come l’epoca della barbarie politica, della disinvoltura istituzionale ed economica e non invece l’età della costruzione di una grande democrazia. Se malsana psicologicamente è la nostalgia di un tempo che fu, altrettanto negativo è il giudizio storico non obiettivo che altera la comprensione del passato e non aiuta quindi il presente.