Da qui la decisione di uscire da Astea, diffidando il Cda a emanare atti di straordinaria amministrazione prima del riassetto societario. Il valore nominale delle quote Gpo è di 16 milioni di euro (sono 16 milioni, ognuna da 1 euro), mentre il valore di mercato si aggira sui 20 milioni, ma questa valutazione la farà il Cda Astea quando, entro i prossimi 90 giorni, dovrà decidere come liquidare le quote a Gpo. Salvo improbabili accordi che facciano rientrare il recesso, sono tre le ipotesi. Uno: i Comuni attingano dai propri bilanci i 16 milioni e acquistano. Due (più plausibile): attingere dalle risorse di Astea diminuendo il capitale sociale o vendendo un ramo d’azienda. Tre: bando pubblico per rintracciare un nuovo socio privato. Ma ieri, dal blog di Su la Testa, l’ex sindaco Latini ha annunciato che “i Comuni e la società dovrebbero prendere al volo l’occasione offerta dal recesso delle azioni da parte del Gpo, perché costituirebbe una grande occasione per rafforzare la presenza della mano pubblica della società”. La storia di Gpo a Osimo inizia nel 2002, quando i genovesi acquistarono dal Comune il 35% delle quote dell’allora Aspea. Poi, nel 2003, l’accordo viene confermato nell’ambito della fusione con l’Ast di Recanati: Osimo scende dal 65% al 34% di quote, mentre Gpo dal 35 agli attuali 21. Nell’aumento di capitale del 2004 Osimo, a differenza degli altri soci, aumentò la propria partecipazione salendo al 39,6%.