La senatrice Chiara Acciarini (SD), nipote del martire recanatese Filippo Acciarini
La valigia di Jorge, la memoria dei vivi e l'Europa del XXI secolo
La valigia di Jorge. Una valigia, che insieme a tante altre, è rimasta a
ricordare un bambino nato nel 1939 è giunto ad Auschwitz per morire.
Quando penso ad Auschwitz, è questa la prima immagine che mi viene in mente.
Prima dei forni crematori cinicamente sistemati accanto alla baracca delle
cucine, prima di quella scritta beffarda che promette libertà in cambio di
lavoro, prima ancora delle fosse comuni, delle torrette e della rampa di
Birkenau, macabra rotaia che conduce al nulla. Nella valigia di Jorge è
custodita - insieme a una quotidianità umiliata e annientata - la storia di
circa un milione e mezzo di bambini ebrei vittime del genocidio nazifascista,
il 90% di quelli perseguitati. La loro storia e quella delle loro madri, spesso
incapaci di abbandonarli al momento della selezione e pronte a seguirli verso i
forni oppure disposte ad ucciderli pur di garantire loro una morte più dolce.
"Per me - scriveva Simone De Beauvoir presentando il film ‘Shoah' di
Claude Lanzmann - una delle immagini più strazianti è quella che presenta un
mucchio di valigie, alcune modeste, altre più lussuose, che recano tutte dei
nomi e degli indirizzi. Certe madri vi avevano riposto con cura latte in
polvere, talco, farina per pappe. Altre abiti, viveri, medicinali. E nessuno ha
mai avuto bisogno di niente".
Nella valigia di Jorge, ha lungo ho custodito la mia memoria della Shoah e in
quella -come in altri immagini - l'ho materializzata. Una valigia, un semplice
oggetto. Del resto, non diceva Primo Levi che ad Auschwitz la morte comincia
dalle scarpe? Oggi, però, vorrei aprire quella valigia per dare alla mia
memoria privata - come, e soprattutto, a quella pubblica - la possibilità di
farsi attiva e consapevole.
Non basta più varcare il cancello dell'inferno per capire veramente ciò che è
stato né è sufficiente ascoltare i sopravissuti per farsene eredi. Non si
diventa nuove voci narranti e testimoniali solo grazie ad una "trasfusione
di memoria". La memoria dei sopravissuti non può essere la nostra stessa
memoria. Ciò che va fatto è piuttosto procedere ad una interrogazione il più
possibile puntuale: cosa c'è in quell'esperienza ormai lontana che tocca il
"nostro vissuto odierno"? Lo sterminio scientificamente pianificato?
L'annichilimento e l'annientamento della personalità? L'odio e il disprezzo per
il diverso, ieri ebreo, oggi musulmano, sempre e comunque omosessuale?
L'interrogazione, a differenza dell'ascolto impone a chi interroga - cioè a noi
e non ai sopravissuti - di mettersi direttamente in gioco, di assumersi vecchie
e nuove responsabilità, di fare i conti con le nostre emozioni di ora e con la
storia dell'oggi.
Ecco perché ha ragione David Bidussa quando pochi giorni fa, su queste stesse
pagine, scrive che "Il Giorno della Memoria non è il giorno dei morti ma
il giorno dei vivi. Della memoria per i vivi e non della commemorazione dei
morti". Su questo punto, al di là delle celebrazioni, bisogno sciogliere
ogni ambiguità. La shoah è un evento nato all'interno dell'Europa, anzi di una
crisi europea che esplode con la Grande guerra ma che viene già annunciata
dalle tensioni e dalle contraddizioni che si vanno accumulando nel corso
dell'800. E' nel cuore della civile Europa che stanno le premesse della Shoah
ed è, precisamente, con la Prima guerra mondiale che l'Europa scopre il
massacro industriale, la morte anonima di massa e i primi campi di
concentramento. Ed europei sono anche il colonialismo, l'antisemitismo razziale,
l'eugenismo e l'anticomunismo: "teorie" legittimanti stermini, guerre
di conquista e genocidi (basti solo pensare alla volontà di colonizzazione del
mondo slavo). Tenere questo in mente - cioè ricordarlo - aiuta a comprendere
come l'Olocausto lungi dall'essere il prodotto di una mente malata o mera
"ricaduta nella barbarie" rappresenta la precipitazione di tensioni
accumulatesi nel corso di decenni. Tensioni che potrebbero riproporsi e sulle
quali bisogna mantenere sempre alta l'allerta.
Il Giorno della Memoria deve servire soprattutto a non dimenticare - più che a
ricordare - che la Shoah fu una rottura di civiltà nata all'interno della
civiltà e resa possibile, come dimostra il funzionamento dei campi di
sterminio, dalle acquisizioni della civiltà industriale moderna. Ciò che,
ancora, non va dimenticato, è che la privazione totale dei diritti di cui il
lager rappresenta l'immagine più drammatica fu preparata - dopo il 1918 - da
una ridefinizione dell'Europa ispirata al modello dello stato nazione come
alternativa ai grandi imperi multinazionali. Una ridefinizione che creò una
grande massa di profughi e apolidi, di senza patria e senza diritti. Una
tentazione "nazionalista" che l'Europa del 2008 dovrebbe avere tutti
gli strumenti per poter contrastare. Vogliamo crederci perché altrimenti il
Giorno della Memoria, sganciato dall'uso pubblico e quotidiano della memoria
stessa, si rivelerebbe una sterile ossessione, una sorta di religione civile
con cui l'Occidente democratico si giustifica e si assolve. E' stata l'Europa
del XX secolo a produrre la shoah. Deve essere l'Europa del XXI secolo a
scongiurarne per sempre il possibile ripetersi.
A questo serve, anche, una sinistra europea. Una sinistra che non deve
dimenticare i tanti uomini e le tante donne di sinistra che soffrirono e
morirono tra le montagne, nelle carceri e nei campi di sterminio per
contrastare la mostruosità del nazismo e del fascismo.