“Al signor Mussolino di Roma, Ti scrivo queste due righe per mandarvi un po’ di salute perché di quella volta che mi avete fatto quella parte me so trovato tanto contento e adesso vi rispondo con queste due parole perché per dirgli che lei era un truffatore mi avete arrestato non solo arrestato me ci ha voluto soldi perché sei un vigliacco, un puzzò un ignorante truffatore e se ti potrei vederti vicino ti sputerei anche in faccia. Ramazzotti Paolino”.

E’ un contadino di Recanati, quasi analfabeta, che scrive direttamente al Duce in questa rozza, ma durissima forma. Questo è solo uno dei tanti documenti trovati negli Archivi di Stato da Matteo Petracci autore del libro “Pochissimi inevitabili bastardi”, una ricerca accurata sull’opposizione dei maceratesi al fascismo, dal biennio rosso alla caduta del regime, presentato ieri dall’ANPI e dall’ARCI di Recanati in una serata dedicata alla promozione del libro (Il Lavoro Editoriale).

Ma torniamo a Paolino Ramazzotti: nato a Recanati il 19 novembre del 1914, contadino e schedato come sovversivo, che scrive a Mussolini il 23 maggio del 1927, adirato per le dure prove economiche imposte dal nuovo patto colonico fascista, e nel caso del Ramazzotti acuite dall’immiserimento per essere entrato anche nel circuito della repressione. Arrestato riuscirà a cavarsela ma non la perdonerà mai a Mussolini.

Sono anche altri i fatti riferiti alla verve antifascista in città citati nella sua ricerca da Petracci ed indicano Umberto Corvatta, Angelo Sorgoni e tanti altri attivisti.

Il prof. Donato Caporalini (a dx nella foto), dell’Istituto Gramsci, considera il lavoro di Matteo Petracci (a sx nella foto) in grado di catturare subito il lettore e a trascinarlo nei drammi e nelle convulsioni di un ventennio intenso come pochi altri, venti anni di storia che iniziano con la fine della prima guerra mondiale, proseguono con la crisi dello stato liberale e l’affermazione del movimento fascista, e si chiudono, infine, con la crisi del regime totalitario nell’estate del 1943.

Un altro passaggio delle vicende recanatesi è del 1920, e riguarda i massicci scioperi agrari che stavano percorrendo la provincia. In città furono i cattolici a muoversi: l’Unione Agricola Recanatese, guidata dal frate Gaetano da Cerreto, pubblicò l'elenco dei proprietari terrieri ostili al nuovo patto colonico, che stabiliva condizioni più vantaggiose per i contadini. E i mezzadri boicottarono i proprietari segnalati rifiutandosi di raccogliere il loro grano e impedendo ai coloni di affittare i macchinari necessari alla trebbiatura. Un tale Willington Bianchi invia un telegramma al Ministero dell’Intero per segnale che “numerose indisturbate squadre armate di contadini armati di fucili e randelli scorazzano per il territorio impunemente”.

Tanti altri sono gli esempi di reazione al fascismo citati nel libro e, ovviamente toccano tutti i centri della provincia di Macerata.

L’analisi di Petracci permette di capire come cambia in quegli anni la vita politica italiana. E soprattutto cosa accada a quanti si sono opposti al fascismo dopo essere stati pesantemente e violentemente sconfitti.

Petracci analizza quale spazio sia restato agli oppositori in una società che gradatamente accetta il fascismo come proprio orizzonte naturale. Comprende a quali compomessi si pieghino coloro che cedono perché hanno perduto ogni speranza , o perché angosciati dalla preoccupazione di evitare che le pesanti sanzioni, le umiliazioni pubbliche e private che si sono abbattute su di loro colpiscano anche le persone amate, la propria famiglia, i figli.

Ma Petracci è anche attento a individuare dove chi decide di resistere trovi la forza per opporsi con ostinazione, pur nella consapevolezza di esporsi.

E tra questi, in una piccola bottega di calzolaio di Montemorello, continua a dire no Umberto Corvatta.

Alcune copie del libro sono ancora disponibili presso l’ANPI: info anpi.recanati@hotmail.it