Tarso Genro, ministro della Giustizia brasiliano, ha dichiarato che i 13 cittadini brasiliani contro i quali la magistratura italiana ha emesso una serie di ordinanze di custodia cautelare per il loro coinvolgimento nella sparizione di due italo argentini nel corso delle operazioni del Piano Condor nel 1980, non saranno estradati, ma potranno essere processati in Brasile.
Secondo alcuni collaboratori del ministro citati dal quotidiano brasiliano O Globo, Genro chiederà alla Procura generale della Repubblica di Brasilia di aprire un'inchiesta sulla partecipazione degli accusati dalla magistratura italiana nella morte di Horacio Domingos Campiglia e Lorenzo Ismael Vinas.
Di
seguito proponiamo un brano tratto da "Terra Promessa" e la
riproduzione di un articolo del Resto del Carlino che per primo rivelò
il dramma di Adelaide Gigli, nota scultrice, figlia di Lorenzo Gigli, anch’egli
affermato artista emigrato in Argentina con la figlia.
Tra i
desaparecidos italiani, scomparsi durante la dittatura militare in Argentina,
alcuni erano di origine marchigiana , due recanatesi, Lorenzo Ismail Viñas Gigli
e sua sorella Adelaida (nella foto sotto insieme alla piccola salvata a stento).
Le pagine che seguono sono tratte dal libro "Terra promessa-il sogno argentino", scritto dalla giornalista Paola Cecchini ed edito dal Consiglio regionale delle Marche, con il patrocinio dell'Ambasciata d'Italia a Buenos Aires, l'Ambasciata della Repubblica Argentina in Italia, il Ministero degli Italiani nel Mondo e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
14 settembre 2007 - Paola Cecchini
Argentina: storie di desaparecidos marchigiani
Adelaida e Lorenzo Ismail Viñas
"Sono arrivata a Recanati lo stesso giorno della mia nascita, cinquant'anni dopo. Ne ero partita all'età di tre anni, quando mio padre Lorenzo Gigli, artista, emigrò in Argentina, a Buenos Aires. Conoscevo già questo paese attraverso la sua pittura, la sua passione, la sua mitologia recanatese. Quando sono arrivata e ho visto le colline, sono stata presa. Mi è piaciuta da morire. Poi, quando sono passata per le rovine dell'acquedotto romano e ho visto che sotto gli archi non c'era nessuno, non viveva nessuno, per me è stata una cosa meravigliosa, perché mi sono detta: qui non c'è miseria, qui c'è dignità umana. Dopo, sono entrata nella città, sono andata in albergo; c'era un gruppo di contadini nel loro giorno di festa, sicuramente uno sposalizio, chiacchieravano. E quelle furono le prime persone che vidi. Ricordo anche un bellissimo cane, tutto nero, che riposava li, sulla strada. È stato tutto molto forte... Quando ho immaginato Recanati, pensavo che non potevo vivere in una provincia, in un paese, abituata a vivere in una capitale. Cosa vado a fare là, dove non succede niente? Quando ho visto le cinque porte di Recanati, ho detto: qui è facile, uno non sta in prigione. Esco per una porta, e via! Vado dove voglio. Fanno sei anni, ora, che non ci voglio uscire per nessuna porta! Mi piace... qui la solitudine è un privilegio. Pensavo di venire qui a sopravvivere, o a rinascere. E invece ho vissuto. È molto, molto importante. Dopo, s'io fossi libera di tanti miti, di tante cose personali, di tanti ricordi, mi integrerei, mi avvicinerei di più ai problemi recanatesi...
Ritornavo sola, vestita con un
paio di jeans e espadrillas, una valigia con libri e i pochi scritti originali
che avevo potuto conservare, là, in Argentina. Da quel momento dovevo ripensare
a ricostruire tutto. Non parlavo l'italiano. Nemmeno ora molto bene, forse
anche per ragioni psicologiche, che non "se può investigare perché". Non
capivo i recanatesi. E non perché fossi isolata fisicamente, perché qui la
gente è molto amabile. Però questo non vuol dire necessariamente comunicazione.
Ho imparato a vivere sola, tanto che adesso mi sembra l'unica maniera di
vivere. Qui sono ancora una "estraniera", ma molto appassionata. C'è
spazio, sono libera, non ho terrore, e ho ricordi. Logicamente, mi piacerebbe
inserirmi, lavorare nel sociale, ma è molto difficile per me, che sono così
profondamente impregnata di preoccupazioni sudamericane. Però mi sento bene,
non perché sia arrivata a una vita felice: non ho famiglia più, o un successo
personale, ma perché ho spazio, non devo stare sempre all'erta... Ho fatto una
vita molto intensa in Argentina. Non propriamente la vita dell'emigrante. Ho
studiato, mi sono sposata con un ragazzo, un intellettuale, un saggista.
Eravamo molto attenti alla "cosa" argentina. Abbiamo fatto una
rivista molto importante, che ancora "circula", come testimonianza di
tutta una generazione molto combattente, oramai vecchia. Là ho vissuto con
molto interesse, con tutto il mio temperamento, che non è di lottatrice, di
ideologa, ma semmai più "idilliaco", arrabbiato anche, più come un
gatto... Gli ultimi anni in Argentina? Non so quali siano stati, nel senso che
non ricordo un primo anno, o un secondo, un terzo, e così via. Semmai quello
che è successo... quello lo ricordo. C'è stato un cambiamento storico, che ha
compromesso più di due generazioni. E si è risolto in una maniera violenta. E
io sono uscita dall'Argentina, allora, perché non volevo essere un'altra
vittima dopo che i miei figli erano scomparsi, desaparecidos. Ero ormai sola. Non
aveva più senso vivere là, e poi non si poteva".
“È incredibile, ma è la prima
volta che qualcuno lo arresta per violazione dei diritti umani” ha commentato al riguardo Claudia
Allegrini.
La maggioranza degli inquisiti operava nel Batallón 601 (nome di guerra del Servicio de Informaciones del Ejército) il cui quartier generale aveva sede (sarebbe meglio dire ha sede, dato che non è mai stato smantellato) all'angolo tra calle Callao y Viamonte, nel cuore cittadino (dove mezzo secolo fa fu sequestrato il cadavere imbalsamato di Eva Perón).5 In relazione a questo procedimento, il giudice Bonadio - che ha decretato l'anno passato la nullità delle leggi Obediencia Debida e Punto final, in quanto incompatibili con la Convenzione americana dei diritti umani ed il Patto internazionale dei diritti civili e politici - ha chiesto l'estradizione in Argentina di Claudio Scagliuzzi (nome di copertura Claudio Guillermo Sforza), residente in Spagna dal 1984 ed arrestato a Barcellona perché sospettato di aver fatto parte come agente civile del Batallón suddetto. In quanto civile, non erano applicabili nei suoi confronti le leggi sopra citate.
“E' probabilmente lui il sequestratore e l'uccisore di Lorenzo - ha commentato Claudia Allegrini -. Oggi mia figlia Paula ha ventiquattro anni ed aveva ventisei giorni quando il padre scomparve; credo che sia suo diritto sapere che fine abbia fatto. Mi batto da venticinque anni per questo. Oltre a ciò, c'è il mio diritto di conoscere la verità e quella di tutti gli altri compagni, perché io, dopotutto, sono una sopravvissuta”.