Di Sergio Beccacece, coordinatore Gruppo Civico
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe che da tanta parte dell’orizzonte il guardo esclude”.
Così Giacomo nello struggente e misterioso “l’Infinito”. Al giorno d’oggi invece la siepe esclude lo sguardo da visioni assai poco adatte alla sacralità del luogo. Guardando infatti oltre la siepe verso i “monti azzurri”, l’occhio viene colpito dalle zone industriali della val Potenza. Ora è pur vero che i comuni mortali debbano sostentarsi, certo in proporzioni ridotte rispetto ai leopardisti. Il progresso non può essere arrestato. Le pubbliche amministrazioni possono però intervenire in modo almeno che il colore degli stabilimenti non contrasti troppo con quello delle campagne circostanti.
Il fine della salvaguardia del paesaggio può essere raggiunto all’atto del rilascio di nuove concessioni e permessi di ristrutturazione o ritinteggiamento degli edifici esistenti, con la prescrizione di colori adeguati al paesaggio naturale.
Ora purtroppo “chiaro nella valle il fiume (non ..) appare”, bensì lucente ed innaturale l’agglomerato delle fabbriche.
Guardando invece dall’esterno della siepe dentro il Colle colpisce la trascuratezza in particolare del luogo in cui è stata ricostruita la tomba di Giacomo. Nel 1998, in occasione del Bicentenario Leopardiano, il CNSL, come recita la stele ufficiale, ricreò il sacello con “elementi lapidei un tempo della tomba di Leopardi in San Vitale in Fuorigrotta di Napoli”. Il visitatore rimane sconcertato dall’incolta vegetazione che spesso invade gli elementi lapidei, dal non funzionamento del meccanismo che dovrebbe far scorrere l’acqua che ristagna tra gli elementi, dalla rottura di una pietra e da tutto l’ambiente circostante che richiede cure energiche ed urgenti.
Non parlo del viale trasformato in prosaico ed inappropriato parcheggio.
Si provveda urgentemente ed adeguatamente, non tanto e non solo per gli interessi legati al turismo, ma soprattutto per amore di Giacomo e per rispetto di noi stessi e dei visitatori.