Un esperto di Biagetti (nella foto un suo quadro, "Barche in secca"), non presente tuttavia all’incontro in Comune per motivi di lavoro, è Paolo Ondarza, giornalista di Radio Vaticana e speaker del radiogiornale della sera. Nel 2001 si è laureato in Storia dell’Arte all’Università di Roma Tre con una tesi dal titolo “Biagio Biagetti, arte sacra e restauro nel primo Novecento”. Un lavoro che rappresenta l’unico tentativo, finora, di studio completo, sia dal punto di vista biografico che di produzione artistica, su Biagetti. Abbiamo rivolto a Ondarza alcune domande. 

“Come è stata la scoperta di Biagetti?”

“Prima di iniziare il mio studio non conoscevo l’artista, e avere notizie è stato impegnativo perché né su Internet né sui principali libri di testo trovavo informazioni. Poi però sono venuto a conoscenza delle iniziative organizzate dai Comuni di Recanati e Porto Recanati per i 50 anni dalla morte e da lì è partito il mio viaggio alla scoperta dell’artista. Un grande aiuto mi è arrivato dalla figlia, Fiorella Biagetti, subito disponibile. Un atteggiamento che mi ha rivelato la bellezza umana che aveva ricevuto dalla famiglia. Mi ha aperto le porte dell’archivio privato, con le pagine di diari, gli scritti e gli appunti: un materiale prezioso e inedito. Ho iniziato così un percorso affascinante che mi ha portato a girare le Marche, e in particolare le province di Macerata e di Ancona”.

“Cosa l’ha affascinata di più della figura di Biagetti?”

“Mi ha affascinato il taglio umano, il fatto che fosse un uomo che nell’attività artistica mettesse molto della propria idealità e delle proprie convinzioni etico e religiose. Per lui l’arte era un rendere gloria a Dio. Ciò che aveva appreso dal suo maestro, il tedesco Ludovico Seitz, conosciuto a Loreto, e l’assoluta padronanza delle tecniche artistiche, l’hanno guidato in un cammino che non è stato di ricerca di autoaffermazione o di successo, ma di volontà di comunicare il sacro ai fedeli. Lo dimostrano lavori come quelli nella basilica della Santa Casa di Loreto, in particolare la Cappella Slava (1912), dove sono narrate le storie di Cirillo e Metodio, e quella con le storie del Crocifisso (1908). Lavora poi in un periodo, il primo Novecento, nel quale le avanguardie rompono con il passato per dare vita a linguaggi figurativi nuovi. Ma Biagetti ha sempre tenuto viva la lezione del passato, dialogando con il presente e parlando all’uomo contemporaneo. Importante anche la sua attività di restauratore, per cui ottenne delle nomine molto prestigiose in Vaticano, come direttore dei Musei e dello studio Vaticano del restauro. Lavorò anche alla Cappella Sistina, evidenziando come le sue teorie di restauro siano molto moderne. Non seguiva la corrente secondo cui bisognava ricostituire anche le parti mancanti di un’opera. La sua teoria di restauro era rispettosa della storia, tenendo conto sì dei colori originali ma senza mettere mano alle parti cadute. Fra l’altro, riguardo ai colori della Cappella Sistina e in particolare del Giudizio universale, intuì, prima ancora delle conferme scientifiche, che i colori di Michelangello erano ben più brillanti”.

“Perché è giusto ricordarlo?”

“Per tanti motivi. Fu un suo merito aver reso vivo il dibattito sull’arte sacra nel Novecento. Ha proseguito quella tradizione figurativa e artistica in un’epoca predominata dl linguaggio astratto e dalle avanguardie storiche. In lui, invece, era vivo il desiderio di non tagliare completamente con il passato perché il rischio è parlare con un linguaggio poco comprensibile. Egli tenne conto di questo punto di partenza. Ma non solo. Credo sia importante riscoprirlo perché l’Italia ha un patrimonio artistico variegato, da regione a regione, e Biagetti è un artista di cui le Marche devono andare fiere, anche perché esporta il modo di dipingere imparato nelle sua regione anche fuori, a Roma, a Udine, a Treviso. E dialoga con l’arte d’oltralpe, come dimostra il fatto che il suo maestro era tedesco. Si ritrova nelle Marche a dipingere paesaggi con uno stile appreso nella bottega di Seitz. E’ interessante, inoltre, perché oltre ad essere un artista sacro, è anche un maestro del liberty. Gli affreschi di Montelupone, ad esempio, con la storia del pane, contengono dei dettagli in piena moda liberty”.

“Quali sono gli aspetti più attuali del suo percorso artistico?”

“Attraverso Biagetti possiamo riscoprire un concetto di modernità cui siamo poco abituati. Una modernità che non vuol dire dimenticarsi bensì elaborare ciò che ci ha preceduto. Non posso svegliarmi dicendo che non sono figlio e nipote di mio padre e mio nonno. Perderei una parte di me, lo stesso succede nell’arte. A quelli che sostenevano la modernità a ogni costo lui rispondeva senza polemica, con un modo di fare pacifico, ma ricordando la tradizione. Modernità vuol dire questo oggi. E credo che la modernità di Biagetti, anche sul dibattito delle radici dell’Europa, rappresenti un percorso che ci può aiutare a riflettere”.

“Quali altri campi ha esplorato Biagetti con la sua arte”

“E’ stato anche un critico d’arte e ha scritto saggi  fra cui quello su Puvis de Chavannes. La sua attività ha riguardato anche campi più slegati dalla pittura, che l’hanno avvicinato ad esempio all’artigianato, come le sue vetrate dal sapore liberty. Fu un maestro poi nella pittura su ceramica. E realizzò dei meravigliosi arazzi conservati in casa Leopardi, che risentono del grande fascino della pittura del Botticelli. Insomma, la sua era un’arte a tutto campo”.