Di Massimiliano Grufi, Presidente Consiglio Comunale

Nell’anno delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il nostro paese sembra in gran parte ritrovare la passione per discutere dei fatti storici che determinarono l’unità territoriale del 1861, delle contingenze storiche e culturali che provocarono le lacerazioni profonde tra i cittadini italiani a seguito dei due conflitti mondiali e della lenta ricostruzione del paese nel secondo dopoguerra.

lib2In verità un’attenzione particolare è rivolta alla Carta Costituzionale che entrò in vigore nel 1948 dopo i lavori dell’Assemblea Costituente.

Questo è anche l’approccio della Presidenza del Consiglio Comunale di Recanati che ha inteso, a partire dalla fine del 2010, organizzare una serie di incontri su temi costituzionali, pensando la Costituzione repubblicana quale elemento di unità del paese, frutto delle ampie convergenze politiche che maturarono proprio nell’assemblea costituente ed in verità nel tavolo ristretto chiamato a stilare il documento finale.

La complessità del testo costituzionale risulta evidente ad un attento lettore che non si fermi all’analisi di una singola disposizione.

Tale complessità, che si evince dai Principi Fondamentali e dai Diritti e Doveri dei cittadini, nasce dall’esigenza di contemplare le diverse anime di un paese teso alla sua ricostruzione culturale, morale e sociale, prima ancora che strutturale.

Ecco perché accanto all’attenzione alla persona, posta al centro del testo costituzionale, c’è una immediata connessione alla società ed alla possibilità per la persona stessa di realizzarsi non solo come individuo, ma anche e soprattutto nelle forme associate che la comunità offre o che consente di costituire, prima in assoluto la famiglia, società naturale fondata sul matrimonio.

Questa dimensione sociale è alla base del fatto che l’individuo non ha solo diritti ma anche doveri precisi nei confronti dello Stato, dovendo indirizzare la propria attività, nella dimensione privata e pubblica, ad un interesse collettivo. La partecipazione del cittadino (in realtà sempre più cittadino europeo) alla risoluzione dei problemi di interesse generale, per la realizzazione del bene comune, è rappresentativa di una carta costituzionale che coinvolge, che nasce dal basso e che non è certamente “concessa”, a differenza dello Statuto Albertino.

Allo stesso modo c’è un complesso sistema di organizzazione dello Stato basato su equilibri sofisticati che contemplano una storica suddivisione dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario.

L’autonomia degli stessi ed i controlli reciproci hanno permesso di dare stabilità ad una democrazia parlamentare che, nel disegnare responsabilità e funzioni dei diversi organi costituzionali, ancora oggi, seppure con l’oggettiva necessità di rivedere la composizione di alcuni organi contemplati dalla Costituzione, rappresenta un modello costituzionale, da mettere in discussione solo prevedendo un’analisi critica complessiva del sistema democratico e non attraverso parziali riforme che potrebbero provocare “storture” ad appannaggio di interessi particolari.

Un esempio che non possiamo non fare è quello della riforma della magistratura in atto nel nostro paese. La riforma in effetti è della magistratura e non della giustizia, poiché, sebbene non possa non avere delle conseguenze sui cittadini, essa va a modificare l’ordinamento giurisdizionale ed in particolare il funzionamento o la natura di alcuni organi quali il Consiglio Superiore della Magistratura, ex artt. 104-105 della Costituzione, mentre non sembra prevedere alcuna risorsa aggiuntiva per l’attività giurisdizionale, neanche in termini di risorse umane (questi ultimi sarebbero invece elementi indispensabili per accelerare i tempi processuali e smaltire l’arretrato).

Lasciando dunque alcune riflessioni in merito alle modifiche che sembrano più accreditate, potremmo chiederci se la separazione delle carriere con la costituzione di due CSM (uno per i giudici ed uno per i pubblici ministeri) risulti così necessaria, soprattutto a seguito della riforma del ministro Mastella, avvenuta negli anni precedenti, che ha stretto e di molto la possibilità di transitare da funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa, chiedendo la mutazione del distretto e con una reale verifica delle attitudini; allo stesso modo dovremmo riflettere e bene sul principio di inamovibilità del giudice. I padri costituenti legarono l’inamovibilità al fatto che nessuno potesse spostare un giudice “naturale” dal suo ufficio, consentendo in caso contrario una giustizia dell’organo esecutivo, come avveniva nel precedente periodo fascista. Infine, una riflessione sulla responsabilità dei giudici, già contemplata dalla legge. Sembrerebbe si discuta di allargare la responsabilità ai casi di colpa lieve. Una domanda sorge spontanea: quanti giudici sarebbero disposti a sacrificare se stessi nell’ipotesi di processi che vedano imputati grandi gruppi finanziari o personaggi politici e del mondo dell’economia? Ci sarebbe ancora la capacità di essere terzi e di trattare allo stesso modo un grande imprenditore con possibilità di avere illustri avvocati e un normale cittadino, magari impossibilitato ad avere una difesa propria e costretto a ricorrere a quella che lo Stato comunque prevede a sua garanzia?

Forse una riforma così importante, seppure necessaria, dovrebbe richiedere una convergenza ampia, non solo quella che la Costituzione prevede per una procedura di revisione costituzionale, ma quella, ancora più ampia, che il buon senso di una politica responsabile dovrebbe ricercare, nella comprensione che una riforma vera della giustizia non possa essere solo di alcuni.