di mons. Giuliodori, vescovo di Recanati

Carissimi presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, fedeli tutti che riempite questa stupenda Concattedrale di San Flaviano da poco riaperta al culto, desidero salutarvi con grande affetto facendo mie le parole che abbiamo ascoltato dal Libro dell’Apocalisse: «Grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra» (Ap 1, 5). È per lui che siamo qui, è con lui che celebriamo questa solenne liturgia, è di lui che siamo chiamati a dare testimonianza.

Questa celebrazione è per noi sacerdoti l’occasione per rivivere quel momento decisivo della nostra vita in cui siamo stati consacrati per essere ministri del Signore e per ritrovarci in quella sublime comunione fraterna che non deriva da un legame umano ma dalla comune partecipazione al sacerdozio di Cristo. È un giorno di festa, di fraternità ma anche di intensa riflessione che ci introduce nel cuore dell’evento salvifico che celebreremo con le toccanti liturgie del triduo pasquale. In questo contesto così bello e suggestivo, vorrei condividere con voi due riflessioni: una sul significato del ritrovarci qui a Recanati e l’altra sulle sfide odierne della nostra vita sacerdotale.

In primo luogo dobbiamo riflettere sul fatto inusuale e davvero straordinario di non celebrare, come da tradizione, la Messa Crismale nella cattedrale di San Giuliano in Macerata. Il ritrovarci qui nella concattedrale di San Flaviano non è solo un omaggio a questo stupendo tempio riportato al suo antico splendore, o forse di più, ad uno splendore mai visto, neppure nelle diverse fasi della sua realizzazione.

Siamo qui perché torna a vivere una parte significativa della nostra realtà ecclesiale, perché si ricompone il volto multiforme e riprende la sua fisionomia la nostra Chiesa diocesana, la cui storia e identità non possono prescindere dalla gloriosa tradizione delle sue cinque antiche diocesi, ben rappresentate dalla Cattedrale di Macerata e dalle Concattedrali di Tolentino, Recanati, Cingoli e Treia. La recente pubblicazione del volume sulle Cattedrali ci aveva già offerto uno sguardo d’insieme davvero affascinante e ricco di dati storici, artistici e culturali. Oggi, immersi nell’armonia di questa stupenda Basilica, sentiamo ancora più viva e reale l’unità della nostra Chiesa diocesana. La comunione ecclesiale, infatti, cresce non cancellando o rinnegando la storia, ma condividendo e coniugando le ricchezze delle diverse realtà. Devo dire che la nostra Diocesi non risente negativamente del processo di unificazione, ma può e deve crescere ancora molto nella condivisione del patrimonio di fede, arte e cultura che deriva dalle cinque ex-diocesi. Questa Chiesa in cui ci è dato di vivere non può esser un’omogenizzato della storia passata. Dobbiamo saper unificare in modo dinamico e armonico il patrimonio di ciascuna realtà perché da questo processo deriva il volto unico, originale e straordinariamente bello della nostra Chiesa diocesana.

È con un legittimo e doveroso orgoglio che in queste settimane abbiamo celebrato la riapertura della Cattedrale con eventi spirituali, culturali e artistici. Se con le altre celebrazioni abbiamo riconsegnato a Recanati la sua Cattedrale, con questa odierna, alla presenza di tutto il presbiterio vogliamo riconsegnarla alla nostra Chiesa diocesana, perché tutti possiamo goderne e tutti possiamo farsene responsabili. Molti di voi vedono questa Chiesa per la prima volta e anche chi la conosceva prima della chiusura, oggi la vede trasfigurata. Nell’omelia per la riapertura, lo scorso 10 aprile, ho sottolineato alcuni aspetti che mi sembra opportuno richiamare anche in questa occasione, proprio nella prospettiva di un reciproco arricchimento e di una crescita comune.

Sottolineavo come «queste pietre siano state assemblate nel corso dei secoli con grande maestria in modo da esprimere, attraverso l’armonia degli spazi e la bellezza degli apparati decorativi e pittorici, la fede del popolo recanatese. Oggi tornano a raccontare con grande forza e chiarezza un cammino di intensa e splendida spiritualità che ha segnato la storia della Città e non solo. Respiriamo e gustiamo la fede che qui nel tempo ha preso forma e si è distillata in espressioni artistiche di indubbia bellezza. Nello stesso tempo però, mentre restiamo affascinati da un’eredità tanto bella e preziosa, siamo chiamati a dare continuità all’edificazione della Chiesa viva che è il Corpo del Signore. E per questo c’è bisogno soprattutto di pietre vive unite alla pietra angolare che è Cristo, come ricorda San Pietro: “Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1Pt 2, 4-5)». La grande partecipazione alle tradizionali quarantore, che qui vantavano una lunghissima tradizione, ci conforta e ci incoraggia.

Ricordavo poi che qui «sperimentiamo che cosa significhi essere “edificati sopra il fondamento degli apostoli” (Ef 2, 20), perché nella Cattedrale si esercita il ministero del Vescovo». Quindi «anche per me, come Pastore, questa riapertura riveste un significato particolare. È come se mi venisse riconsegnata la Cattedra della Diocesi in tutta la sua ampiezza e bellezza. Sento pertanto che, anche per il mio ministero, la riapertura di San Flaviano si traduce in un rinnovato impegno a servizio della santificazione della comunità diocesana».

La Cattedrale di San Flaviano conserva, inoltre, le spoglie di Papa Gregorio XII, il veneziano Angelo Correr, che fu eletto Pontefice il 30 novembre del 1406, in un tempo difficile per la vita della Chiesa, al punto che per salvaguardare il bene superiore della comunione ecclesiale abdicò il 4 luglio del 1415, ritirandosi proprio a Recanti, dove morì il 18 ottobre del 1417. La presenza di un successore di Pietro rinsalda i legami di comunione di tutta la nostra Chiesa diocesana con Benedetto XVI che oggi esercita il suo straordinario Magistero sulla Cattedra di Pietro a servizio di tutta la Chiesa universale. Mi auguro che questo legame si rafforzi anche grazie alla lettura del recente volume del Santo Padre su Gesù di Nazaret che ho pensato di donarvi per questa circostanza.

Infine, come tutti quelli che entrano in San Flaviano dopo il restauro, credo che anche noi siamo rimasti affascinati dalla sua bellezza. Una bellezza che parla di Dio perché - come afferma Benedetto XVI - “la bellezza è la grande necessità dell’uomo, è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo” (Omelia del 7 novembre 2010). Inoltre “la Cattedrale è il luogo dove in modo tutto particolare il Dio invisibile si fa visibile”, ricordava sempre Benedetto XVI inaugurando la Sagrada Familia a Barcellona.

Alla qualità del restauro ha contribuito in modo decisivo la presenza e l’opera di Mons. Spernanzoni, che ringrazio pubblicamente per la passione e la dedizione poste in questa impresa. Mi sia consentito, cari sacerdoti e diaconi, approfittare di questo momento di estasi contemplativa di fronte alla bellezza di questo tempio, per ricordare a tutti la necessità che le Chiese siano tenute bene, con decoro. A volte, girando nelle nostre parrocchie, noto una certa trascuratezza nella pulizia, nei restauri, nella cura dell’altare, nella custodia dei paramenti e dei vasi sacri, nella tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Non dimentichiamoci mai che la bellezza è via maestra alla fede e alla contemplazione del volto di Dio.

Di fronte a questo dono del restauro e della riapertura di San Flaviano il nostro cuore è colmo di gioia e per questo rendiamo lode al Signore con le parole dell’Apocalisse: «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 1, 6).

Guardiamo con immensa gratitudine a Colui che ha fatto di noi «sacerdoti per il suo Dio e Padre». Vengo così al secondo punto. Vogliamo con questa celebrazione ringraziare il Signore per averci chiamati a condividere con lui l’offerta sacerdotale della nostra vita. Il sacerdozio non è un’attività lavorativa. Non siamo i funzionari del sacro, anche se a volte è forte il rischio di ridurci ad amministratori di attività e funzioni religiose. In questa celebrazione, rinnovando insieme in forma solenne le promesse sacerdotali, ricollochiamo il nostro “essere sacerdoti”, e non tanto il nostro “fare i preti o i diaconi”, nell’alveo del mistero originario che ci vede partecipi della vita intima di Gesù, chiamati a condividere prima che amministrare, i doni di grazia della sua passione, morte e risurrezione, e in particolare l’Eucaristia, celebrata e adorata.

Mi ha molto colpito la riflessione che proponeva Benedetto XVI ieri nella catechesi del mercoledì, dedicata alla Settimana Santa. Si è a lungo soffermato sulla preghiera di Gesù nell’orto degli olivi e sulla sottomissione della sua volontà alla volontà del Padre. Mi sembra che quel dialogo umanissimo e drammatico tra il Figlio e il Padre di fronte al calice della Passione riassuma bene il senso del sacerdozio che si fonda sulla necessità di sintonizzare la nostra volontà con quella del Padre celeste, sapendo che questo non è indolore, a causa dell’orgoglio e dell’egoismo, e che a volte ci può costare lacrime di sangue.

Benedetto XVI ricorda che nell’espressione «Non la mia volontà ma la tua», avviene la «trasformazione del “no” in “sì”, in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, Egli trasforma l'umanità e ci redime. E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro “no” ed entrare nel “sì” del Figlio. La mia volontà c'è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché questa è la verità e l'amore». Collegando poi questo testo con la Lettera agli Ebrei (cfr Eb 5,7ss) Benedetto XVI evidenzia che «queste lacrime di Gesù, questa preghiera, queste grida di Gesù, questa angoscia, tutto questo non è semplicemente una concessione alla debolezza della carne, come si potrebbe dire. Proprio così realizza l'incarico del Sommo Sacerdote, perché il Sommo Sacerdote deve portare l'essere umano, con tutti i suoi problemi e le sofferenze, all'altezza di Dio». Così, «proprio in questo dramma del Getsemani, dove sembra che la forza di Dio non sia più presente, Gesù realizza la funzione del Sommo Sacerdote. E dice inoltre che in questo atto di obbedienza, cioè di conformazione della volontà naturale umana alla volontà di Dio, viene perfezionato come sacerdote. Proprio così diventa realmente il Sommo Sacerdote dell'umanità e apre così il cielo e la porta alla risurrezione» (Benedetto XVI, Catechesi del Mercoledì, 20 aprile 2011).

A questo momento di intesa drammaticità che Gesù sta vivendo si contrappone il sonno dei discepoli che Benedetto XVI definisce «un messaggio permanente per tutti i tempi, perché la sonnolenza dei discepoli era non solo il problema di quel momento, ma è il problema di tutta la storia». Rinnovando le promesse sacerdotali chiediamo al Signore di svegliarci e di liberarci da quella sonnolenza che purtroppo è sempre in agguato e che si traduce in forme più o meno velate di sconforto, sfiducia, mancanza di speranza, scarsa vita spirituale, poca iniziativa pastorale, chiusura in modalità di evangelizzazione stereotipate e incapaci di ascoltare il soffio dello Spirito. Tutti fenomeni che ben conosciamo e che rischiano di rendere soporifera la vita della nostra comunità ecclesiale. Vegliare con il Signore significa, invece, condividere la sua passione missionaria, lasciarsi guidare dal desiderio struggente di portare, con l’annuncio e la testimonianza di vita, il conforto del Vangelo.

Ce lo ricordano i nostri confratelli che lavorano nelle missioni diocesane: don Patrizio a Bathore e Don Alberico e Don Jorge in Argentina a Puerto Madryn, che siamo andati a trovare in Gennaio e da cui siamo stati molto edificati per l’impegno nell’annuncio del Vangelo, lo spirito di sacrificio e l’attenzione ai più poveri. Così come ricordiamo i circa 20 sacerdoti che a vario titolo sono a servizio di altre comunità ecclesiali in Italia e nel Mondo. Siamo in comunione con loro e il loro slancio missionario ci è di stimolo per ridare nuovo entusiasmo al nostro servizio pastorale.

Non mancano segnali importanti di risveglio tra i giovani, le famiglie, le varie aggregazioni che attendono dai sacerdoti incoraggiamento, accompagnamento nella formazione, guida nel discernimento. I fedeli ci stimano e ci amano, ma giustamente si attendono molto da noi. Questo è poi un anno di grazia per la nostra Chiesa che vede un fiorire di vocazioni. Sabato 7 maggio saranno consacrati 5 diaconi permanenti, di cui abbiamo ascoltato le toccanti testimonianze nell’ultimo incontro del Clero. Mentre sabato 14 sarà la volta di tre nuovi sacerdoti. Sabato 18 giugno avremo la consacrazione pubblica di 10 donne e due uomini quali “Figli del Sacro Cuore di Gesù” all’interno della Associazione Mariana “Regina dell’amore”. Il primo ottobre, in questa Concattedrale, verrà consacrata nell’Ordo Virginum Leila Giuggioloni e nel corso dello stesso mese sarà ordinato presbitero il diacono Luca Beccacece. Ci sono poi i nostri giovani del Seminario Regionale e del Seminario Redemptoris Mater che accompagniamo con affetto nel loro discernimento e nella loro formazione.

Affidiamo nuovamente e con fiducia il nostro sacerdozio al Signore perché ci faccia crescere nella santità, sull’esempio del prossimo Beato Giovanni Paolo II a cui speriamo di poter dedicare il nuovo complesso Parrocchiale di Scossicci. Siamo in attesa dell’autorizzazione da parte della Congregazione per il Culto Divino. Rispondendo con coraggio alla chiamata alla santità ci prepariamo ad intraprendere il cammino decennale sul terreno della sfida educativa come ricordato dagli orientamenti pastorali, a partire dal prossimo convegno di giugno.

La Madre celeste, maestra di misericordia e san Flaviano, vescovo e martire per difendere la fede cattolica, ci aiutino a vivere intensamente la Santa Pasqua e ci sostengano nella vita sacerdotale e nell’esercizio del ministero perché possa scendere copioso l’olio della santità sul Popolo Santo di Dio, anche attraverso gli oli che ora benediremo.

Sia lodato Gesù Cristo.