di Gabor Bonifazi
Non c’è dubbio che quando qualche attività sta sul punto di scomparire, prima di scomparire del tutto entra in un museo. E’ accaduto per la civiltà contadina come per quella marinara e gli amici pescatori della cittadina rivierasca, dopo aver raccolto attrezzi della pesca, chiedono inutilmente da anni un luogo per esporli. Alcune considerazioni per introdurre al plastico di uno stabilimento balneare esposto in questi giorni nella vetrina dell’ex Azienda di soggiorno, dove una volta si davano appuntamento gli amici del poeta Emilio Gardini.
In questa traversa del corso che conduce al caratteristico mercato e al mare è riprodotto fedelmente un tratto di spiaggia con le precarie installazioni che hanno garantito l’effimera felicità dei bagnanti degli anni Cinquanta e oltre. Infatti i vari oggetti in scala tipo casa di Barby sono disposti in modo tale da far pensare ad un momento di transizione tra l’attività della pesca e quella di un pionieristico turismo balneare, mentre i casotti di legno a strisce verticali colorate bianco/azzurro richiamano inequivocabilmente lo stile del più vecchio bagnino di Porto Recanati: il cav. Annito Cittadini.
In questa spiaggia figurano infatti due capanni a strisce azzurre uniti dalla classica tenda stile Lawrence d’Arabia, due ombrelloni gialli, quattro sedie a sdraio, diverse nasse, due mosconi, una lancetta, un’ancora e un delizioso arganetto, l’unica leva dei tempi andati.
Le case dei pescatori sono state inghiottite dal Grattacielo, dal Palazzo Frontini e dalle Torri d’avvistamento, poi i vari Piani spiaggia hanno finito per cancellare quella dei pescatori. Ora gli stabilimenti balneari sono separati dallo spazio d’alaggio riservato alle imbarcazioni della piccola pesca, i capanni sono in cemento, le nasse hanno lasciato il posto ai più comodi cuculli come pure l’argano azionato con la lunga stanga dalle “purtannare” ha ceduto il posto al verricello a motore della Vespa. Quel modellino sembra collegato al refrain di “Una giornata al mare”, quando solo con mille lire si poteva andare a vedere l’acqua e la gente che c’era, senza rendersi conto che quell’epoca stava sul punto di finire.
Ora gli stabilimenti balneari da Fiore a Wanda, da Antonio a Marinello (giallo) e tanti altri sono stati trasformati in ristorantini, con l’unica eccezione di quello del Cav. Annito Cittadini che sembra aver lasciato al figlio Andrea titoli e concessioni demaniali e, in qualche maniera, quello di Amneris per via di una certa sostenibilità. Quest’ultimo prende il nome da una bagnina storica nata quando a Macerata si eseguiva l’opera, per cui il padre che faceva parte dell’orchestra volle darle il nome Amneris.
Nata a Montecassiano nel 1922 Amneris Fabbracci ama raccontare che fu la prima “Figlia della lupa” del suo paese. Successivamente il padre vinse il concorso di guardia municipale ed ecco perché il destino volle che ammarasse a Porto Recanati per una vita da bagnina. Un matrimonio con Nicola Sabatini, quattro figlie e dal 1958 un piccolo balneare, costituito all’ingresso da un paio di casotti collegati da un tendone per ombreggiare, un lingua di spiaggia stretta a nord dai Cittadini e a sud dal balneare “Carlo e Domenico”, proprio accanto all’unico chiosco di Gino Storani. Soltanto nel 2001, grazie al progetto del geom. Marco Pacella, riesce a realizzare il sogno della sua vita, uno stabilimento balneare dove lavorano tre figlie con mansioni diverse: Teresa ai fornelli, Margherita sempre con la ramazza e l’annaffiatoio in mano ed Iris alle prese con gli ordini, soprattutto quelli dell’acqua. Al piccolo bar si alternano al ritmo latino americano tre nipoti: Mirco, Carlo e Nicola. Inoltre il genero Pino Calendi svolge funzioni di collegamento tra i vari reparti e Michele quelle di bagnino di spiaggia. Nonostante la sua età Amneris si reca alla sua rotonda con chiosco e piccola aiola fiorita almeno un paio di volte al giorno per verificare che tutto sia in ordine e che i suoi affezionati clienti siano soddisfatti dell’accoglienza e delle varie manifestazioni calendarizzate dai nipoti.